Ziccone: «Auspico un umanesimo carcerario per i minorenni»

«Non si investe abbastanza per reinserire i giovani che commettono dei reati»

Dopo la fuga del giorno di Natale si sta lavorando per riportare la calma. I sette fuggiaschi (cinque italiani, un equadoriano e un marocchino, tutti tra i 17 ed i 18 anni, nessuno condannato con sentenza definitiva, ma tutti in carcere per furti erapine), approfittando dei lavori in corso nella struttura milanese, si erano dapprima aperti un varco nella recinzione ed avevano poi scavalcato il muro di cinta. Non era mancata neanche la classica scena da evasione, come in un film, con tanto di lenzuolo calato per favorire la fuga. E dopo l’allarma scattato nel pomeriggio dello scorso 25 dicembre, con le guardie accortesi della fuga dei sette giovani detenuti, cinque sono già stati ricondotti dietro le sbarre. Ma la gravità della situazione resta tutto sullo sfondo.

Panorama.it ha incontrato Paola Ziccone, direttrice dell’Area Esecuzione dei provvedimenti del Giudice minorile del Centro Giustizia minorile della Regione Emilia-Romagna e Marche per una riflessione sulla giustizia minorile in Italia.

Direttrice, il suo è un osservatorio privilegiato per conoscere il fenomeno della giustizia minorile.

«La situazione generale mostra segnali di crisi che questi tre anni di allarme pandemico hanno contribuito ad aggravare. La fascia adolescenziale risultaestremamente colpita perché non si è stati in grado di rispondere con risorsestrutturali adeguate, pur in presenza, nel settore minorile, di modelli giuridici al passocon i tempi, che prevedono misure alternative al carcere e che i tribunali giàapplicano in grande numero. Il settore penale sta subendo aggravamenti fin troppo spesso sovrapponibili a quelli riguardanti la carcerazione adulta: il rischio è di trasformare la legislazione penale minorile in un pessimo duplicato di quella già destinata agli adulti».

Percepiamo un non celato pessimismo sullo stato dell’arte…

«Perché l’esperienza personale mi ha letteralmente sbattuto in faccia problematiche che l’opinione pubblica pensa siano riferite soltanto alla carcerazione degli adulti: molti dei ragazzi attualmente detenuti negli istituti di pena per minori hanno attraversato percorsi di vita assolutamente problematici senza che noi tutti -lo Stato e la società civile, insomma- avessimo posto rimedio ad un profondo disagio giovanile. Scuola, famiglia e servizi territoriali ancora una volta si sono dimostrati del tutto inadeguati a gestire l’emergenza, divenuta spesso tragica ordinarietà».

La caduta verso l’inferno carcerario rimane uno spettacolo desolante.

«Proprio perché le istituzioni stesse, ancora una volta, non sono in grado di rispondere correttamente alle legittime istanze di persone poco più che ragazzini: l’agito aggressivo nei confronti degli altri viene scambiato per semplice commissione di reati, quando invece, il più delle volte, rappresenta la disperata richiesta di aiuto e di attenzione che rimane senza risposta. E proprio dopo la pandemia abbiamoregistrato un’impennata negli ingressi in carcere di giovanissimi giunti evidentementeall’ultimo stadio dei loro inascoltati bisogni o disturbi psicologici».

Come operatori sembrate avere le mani legate.

«Questo è il vero dramma. Nonostante la legge penale minorile vada incontro alleproblematiche giudiziarie dell’età giovanile, assistiamo ad una riduzione delle risorsemesse a disposizione per evitare la carcerazione nel caso di ragazzi che potrebberofruire di percorsi alternativi alla detenzione carceraria (messa alla prova, collocamentiin strutture socio-assistite, permanenza domiciliare)».

Ci fa un esempio?

«Molti dei ragazzi che finiscono in carcere vanno incontro a questo destino ancor piùpericoloso perché non è stata individuata sul territorio di loro provenienzaun’adeguata comunità educativa o terapeutica in grado di accoglierli. E le ragioni vanno spesso ricercate nella storica carenza di educatori che, non sufficientementesupportati e formati e sicuramente anche mal retribuiti, non si vedono riconosciuti, aloro volta, quel giusto profilo professionale che era loro stato fatto immaginare».

La conseguenza è immaginabile…

«Se le comunità del privato sociale disponibili ad accogliere minorenni diminuiscono per carenza di figure educative, quella del carcere diventa l’unica porta che si aprirà ai giovani incappati nelle maglie della giustizia, qualunque sia stato il motivo della commissione di un reato».

Ecco la scollatura tra Paese reale e Paese legale…

«E’ la triste immagine con cui mi confronto quotidianamente! E così le comunità di recupero, che pur potrebbero rappresentare l’alternativa al carcere, si vedono private della possibilità di svolgere la loro funzione sociale, con l’effetto del conseguenziale sovraffollamento carcerario anche minorile».

Ci ha anticipato…

«Allo scorso gennaio erano 316 i minori e giovani adulti (ovvero persone fino a 25 anni d’età) detenuti all’interno dei 17 Istituti penali minorili dislocati sul territorio nazionale tra Caltanissetta e Treviso. Di fatto non c’era mai stato bisogno di ulteriori posti per la semplice ragione che sino a qualche anno addietro registravamo un buon funzionamento delle misure alternative al carcere. La legge penale minorile è statapraticata con enorme successo».

Ci sono evidenti ragioni di politica criminale…

«Se si pensa che a fronte di migliaia di ragazzi gravati da una misura penale che viene scontata fuori dal carcere, grazie a progetti educativi e percorsi individualizzati dei servizi sociali e territoriali, il numero dei minori in carcere è così esiguo, si deve comprendere che le risorse economiche e umane devono continuare a essere impegnate soprattutto per fare in modo che in carcere non ci entri quasi più nessuno e che quei pochi possano godere in carcere di spazi adeguati e attività educative sufficienti e personale necessario».

E di equilibrio dei bilanci…

«La circostanza dell’assenza di investimento nel settore della giustizia minorile remaevidentemente contro la totale risoluzione dei problemi di settore».

Lei sicuramente conoscerà anche lo stato degli istituti di pena minorili.

«Per quanto riguarda le strutture ci riferiamo ad Istituti penali nati appositamente perospitare comunità di giovani: quindi o si tratta di istituti di nuova concezionearchitettonica o di altra tipologia convertita. A Bologna (il “Pietro Siciliani”), e aFirenze (l’Antonio Meucci), ad esempio, due conventi sono stati convertiti in carceriminorili, con notevoli benefici anche d’immagine».

Preoccupano anche i profili giudiziari della giustizia minorile.

«Si tratta, certamente, del dato più allarmante, anch’esso in fase di peggioramento. La circostanza che la maggior parte di tribunali italiani, sia per adulti che per minori, continui a ricorrere a misure cautelari (mi riferisco al tema della c.d. carcerazione preventiva) provoca un pericoloso effetto domino anche in riferimento alla giustizia minorile che sembra essersi adeguata all’andazzo degli ultimi anni, con grave nocumento a carico delle più fragili personalità coinvolte. Si tratta di un’aberrazione dell’esecuzione penale in Italia che tra l’altro non trova riscontri in altre legislazioni europee».

Ma anche la legislazione penale minorile prevede misure alternative…

«Esatto. Prevede espressamente che le misure cautelari possano essere scontateprevalentemente all’esterno degli istituti carcerari, proprio per non compromettere lafragile personalità dei ristretti. E invece succede che il tessuto sociale esterno nonappaia ancora pronto ad accogliere giovani bisognosi di particolari percorsirieducativi e di risocializzazione».

Le conseguenze sono immaginabili…

«L’assenza di istituti alternativi idonei non fa altro che aggravare la già pesantesituazione psicologica, con gli effetti che forse si sono materializzati il giorno di Natale, con la rivolta e la successiva evasione di sette giovani dall’Istituto CesareBeccaria di Milano».

Il carcere degli adulti non è certo il meglio per un minorenne…

«Assolutamente no. La legge stabilisce che venga trasferito nel carcere per adulti chiabbia compiuto il 25esimo anno di età. Si tratta di un passaggio radicale specie dopoaver fatto un certo percorso: a questo punto dovremmo cercare di curare il piùpossibile la transizione tra i due sistemi carcerari, soprattutto perché la struttura peradulti non è certo vista come luogo di effettiva ri-educazione».

E neanche per chi è da poco maggiorenne…

«Allo stesso tempo dobbiamo porci il problema di far convivere ultra diciottenni eminorenni, con percorsi educativi e luoghi fisici differenziati. Tutti dovrebbero averela possibilità di stare in carcere senza subire la condanna ulteriore della mancanza dirispetto della dignità umana. E a maggior ragione questo vale per un ragazzominorenne che ha fatto un percorso che la detenzione carceraria potrebbe vanificare».

E’ nota la sua formazione cristiana ed il suo storico rapporto con il Card.

Matteo Zuppi, neo presidente della Cei. «La mia esperienza in carcere e da ultimo l’incontro fatto con il cardinale Zuppimi hanno fatto virare risolutamente verso il paradigma della “giustizia riparativa”: anche strategicamente, pragmaticamente, la via di uscita dalla spirale della violenza e del delitto è un percorso esattamente contrario alla vendetta, al contrario di come il carcere oggi è visto dai giovani detenuti. Nelle parole delCardinale ho ritrovato conferma della verità di queste constatazioni».

La sua, direttrice, è in ogni caso una posizione eticamente orientata.

«Anni fa, dopo che nella struttura che dirigevo si verificò un’evasione, dichiarai nelcorso di un’intervista che fosse “meglio un’evasione che un suicidio”. Ne sonoancora convinta. Si tratta di un’affermazione forte, certo, ma che dovrebbe orientare l’operato quotidiano di quanti, a tutti i livelli, vivono nel mondo della detenzione. L’aumento esponenziale dei suicidi tra le mura carcerarie avvenuto quest’anno non ha nulla di più devastante non solo per chi è vicino al detenuto suicidatosi ma anche per chi ha responsabilità nella struttura detentiva».

Affermazione forte…

«So di poter nuovamente suscitare un vespaio di polemiche, ma io sonoprofondamente convinta che lo spirito che anima l’essenza dell’esecuzione penalecontenuto in Costituzione è di educare alla responsabilità e di farlo da personeresponsabili della vita degli altri, non da vendicatori. Del resto la condanna che la Corte europea dei diritti umani ha irrogato all’Italia per trattamento disumano nel sistema carcerario dimostra che è ora di cambiare registro».

Riuscirà il nostro Paese ad invertire la rotta?

«Non dimentichiamo che dobbiamo ad una personalità come quella di Aldo Morol’elaborazione dell’art. 27 della nostra Costituzione. Purtroppo la rieducazione carceraria se non viene accompagnata da un cambiamento culturale dell’intera società disposta a spendere le necessarie risorse, rischia di restare una mera illusione…».

Paola Ziccone vive a Bologna dove nel 1987 si è laureata in giurisprudenza con una tesi di diritto minorile e ha conseguito l’abilitazione da avvocato. Ha preferito poi dedicarsi all’esecuzione penale minorile dirigendo gli istituti penali di Firenze e – per 10 anni – il “Pratello” di Bologna. Oggi è direttore dell’Area Esecuzione dei provvedimenti del Giudice minorile del Centro Giustizia minorile della Regione Emilia-Romagna e Marche. Ha pubblicato nel 2021 con il cardinal Zuppi, da qualche mese presidente della Conferenza Episcopale Italiana, “Verso Ninive. Conversazioni su pena, speranza, giustizia riparativa”.

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