In fila a salutare Benedetto XVI

Sono migliaia le persone recatesi oggi alla Basilica di San Pietro, per rendere omaggio alla salma di Benedetto XVI. Con il papa emerito non se ne va soltanto un grande teologo. Ma soprattutto un uomo troppo spesso frainteso, più o meno strumentalmente. Da chi lo considerava un reazionario a chi gli attribuiva debolezza nel governo della Chiesa. Prospettive semplicistiche, superficiali e, in definitiva, erronee.

Che Joseph Ratzinger non fosse un reazionario o un conservatore è testimoniato innanzitutto da quella che è forse la sua opera più celebre, Introduzione al Cristianesimo. Proprio qui definì la fede una “svolta dell’essere” che deve essere “rinnovata ogni giorno”. Qualcosa che non può quindi essere assimilato alla mera tradizione, ma che chiama in causa quel “cambiamento di mentalità”, che implica “una rottura e un salto avventuroso”. La tradizione, in altre parole, è al servizio della fede, non il contrario. Ed è in quest’ottica che Ratzinger, da teologo e da pontefice, ha sempre cercato di porre al centro dell’attenzione il meglio del pensiero patristico e scolastico: da Agostino a Bonaventura. Non un ossequio all’antico, ma la capacità di enucleare dall’antico i suoi contenuti più veri e profondi. Quella verità di cui, nel suo stemma papale, Benedetto esortava a farsi “cooperatori”. Da qui la centralità del Logos, la necessaria dialettica tra fede e ragione e, soprattutto, la serrata critica alla “dittatura del relativismo”.

Ed ecco che veniamo al secondo punto della questione. Ratzinger non è stato un debole. Ratzinger davanti ai lupi non è mai fuggito e, anzi, quei lupi li ha strenuamente combattuti, pagando a caro prezzo questo coraggio, tra polveroni mediatici strumentali, distorsioni e vere e proprie calunnie piovute negli anni sopra il suo capo. La “colpa” mai perdonata a Benedetto XVI è stata quella di sostenere la ricerca della verità, nella consapevolezza che né bene né amore né giustizia possono rivelarsi autentici al di fuori della verità stessa. Dietro la sua maschera di tolleranza, il relativismo non è infatti solo autocontraddittorio sul piano logico ma è anche l’inquietante premessa che porta allo svilimento della dignità umana, alla barbarie. È chiaro che un sistema economico, ancor prima che politico, tutto proteso all’atomizzazione individualista e al consumo fine a sé stesso non vuole sentir parlare di comunità, di persona nel suo complesso, di esercizio della ragione, di trascendenza e ricerca della verità. È in definitiva questo che lo spirito del mondo non ha mai perdonato a Joseph Ratzinger. Ed è tutta qui la radice del suo accanimento contro di lui.

Ebbene, davanti a questo assedio perpetuo, Ratzinger non è sceso a compromessi. E lo stesso gesto della sua rinuncia, spesso semplicisticamente derubricato a una questione di beghe curiali, evidenzia in tutta la sua essenza cristallina il cuore più puro dello spirito benedettino. Troppo spesso ci si dimentica che i concetti di “progressismo” e “conservatorismo” presuppongono una visione immanente della Storia. Una visione che, sulla scorta di Agostino, Ratzinger non ha mai accettato, perché perno della Storia – lo ha ribadito costantemente – è soltanto Cristo. “L’obbedienza della fede comporta l’accoglienza della verità della rivelazione di Cristo, garantita da Dio, che è la Verità stessa”, scrisse non a caso nella dichiarazione Dominus Iesus. È questo che lo spirito del mondo non gli ha mai perdonato. Perché la mondanizzazione della Chiesa non è solo quella delle indebite collusioni tra potere politico e potere sacerdotale. La mondanizzazione è anche l’atteggiamento remissivo che la Chiesa può assumere nei confronti dello spirito del mondo, nella (vana) speranza di ottenerne pietà, risultandone invece fagocitata.

Benedetto XVI se ne va in silenzio: quel silenzio che ha contraddistinto gli ultimi dieci anni della sua vita. Se ne va un esempio di umiltà e di coraggio. Se ne va un uomo che ha lottato per la fede, conoscendo sulla propria pelle il dolore della persecuzione. Se ne va soltanto apparentemente sconfitto, perché i suoi scritti, i suoi atti e il suo esempio staranno sempre lì a testimoniarci che l’essere umano non è fatto per tenere gli occhi a terra, ma per guardare in alto, per trascendere la Storia, per cercare Dio. Ed è per questo che oggi a Benedetto non possiamo che essere immensamente grati.

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