Ho visto il futuro del calcio. Ed è bellissimo

Ho visto il futuro ed è bellissimo. Un futuro in cui gli arbitri parlano, spiegano, ascoltano e vengono ascoltati. Quando raccontano perché hanno preso una decisione in campo e anche cosa li ha portati a sbagliare. Senza paura. Col sorriso,. Ho visto il futuro ed è bellissimo. Un futuro in cui i loro dialoghi, tra campo e sala Var, saranno pubblici, ascoltabili. Senza paura e senza censure, perché è un futuro in cui il non detto verrà spazzato via e con esso spariranno montagne di discussioni, dietrologie, sospetti e veleni. Non è un sogno, questo futuro esiste davvero. Anzi, è già presente e l’ho visto con i miei occhi in una giornata che ha cambiato anche alcune delle visioni maturate sul mondo dei direttori di gara e sul loro modo di lavorare.

Il futuro che esiste, ma non è ancora per tutti, si è potuto toccare con mano in una giornata di confronto con i vertici dell’Aia, il designatore Rocchi e i suoi uomini, dentro l’IBC della Lega Serie A a Lissone alle porte di Milano. La casa del calcio italiano, il luogo dove arrivano e partono le immagini che entrano nei nostri televisori e smartphone e il luogo sacro dove, dallo scorso mese di agosto, abita il Var con le sue sale non più distribuite sui campi della Serie A ma centralizzate in un unico luogo. Inaccessibile. Per un giorno reso aperto e trasparente.

A parte i freddi numeri, la contabilità degli errori nelle prime 160 partite di questo campionato – 10 errori certificati con il Var, ovvero l’1,25% delle decisioni prese, 799 check silenziosi e 48 interventi che hanno portato i direttori di gara davanti al magico schermo a bordo campo- , dalla giornata immersa nel futuro ho portato a casa alcune riflessioni. Sono stati trasmessi gli audio dei dialoghi tra sala Var e campo di molti degli episodi più discussi delle ultime settimane e sono stati analizzati.

Ed è stato consentito di seguire live la sfida di Coppa Italia tra Verona ed Empoli, senza alcun filtro, parlandone in diretta con Rocchi, commentando immagini e sonori delle comunicazioni via radio, confrontandosi liberamente con chi da lì a poco si sarebbe chiuso nella saletta Var per coadiuvare la quaterna di campo: Dionisi arbitro centrale, Valeriani-Bresmes assistenti, Colombo quarto uomo e la coppia Irrati (Var) e Ranghetti (Avar) in regia. Una prima volta storica. Ecco cosa ha lasciato in eredità la giornata vissuta nel futuro:

– arbitrare è una faticaccia tremenda, non solo fisica. Gli arbitri parlano tantissimo tra di loro, si raccontano le azioni mentre si svolgono, le leggono dal punto di vista tattico, anticipano le situazioni potenzialmente pericolose e, come computer, si scambiano in continuazione informazioni fondamentali che a casa si fa fatica a tenere a mente stando seduti sul divano. Loro lo fanno mentre corrono, fischiano, sbandierano, discutono con i calciatori;

– il Var parla pochissimo con l’arbitro ma lo fa molto con i suoi collaboratori nella sala regia. Un turbinio di richiesta immagini e informazioni in cui si fatica a seguirlo. Il Var controlla tutto, sempre. Anche quando non sembra essercene bisogno. E così scova anche cose sfuggite all’occhio umano, non solo quello dell’arbitro di campo. Ad esempio il rigore del 2-1 dell’Empoli a Verona;

– non è vero che, per far funzionare la tecnologia nel calcio, servirebbe il “Var a chiamata”. Viene guardato ogni singolo frame di una partita, i check silenziosi (cioè che non arrivano nemmeno all’orecchio del direttore di gara) sono decine. A casa non te ne accorgi, ma il Grande Fratello è sempre in funzione e dare all’allenatore l’opzione di richiederne l’intervento appare veramente inutile;

– sul rigore di Inter-Juventus, quello che ha fatto arrabbiare mezza Italia e discutere l’altra metà, l’unica certezza è che il Var ha fatto bene a intervenire. Poi ognuno resti della sua opinione, ma la verità è che l’arbitro di campo aveva visto e comunicato una dinamica diversa da quella reale;

– non tutti gli episodi sono giudicabili bianco o nero, esiste il grigio delle interpretazioni. Lo so, può far incazzare ma quasi sempre il confronto che avviene in campo, pignolo all’eccesso, porta a una conclusione ragionevolmente argomentata. Essendo episodi ‘grigi’ potrebbe anche valere il contrario, ovvio. Gli arbitri lo sanno e nel futuro sono anche aperti a chiedere agli altri cosa ne pensano e come li percepiscono perché in fondo sono custodi, come tutti noi, di quella cosa meravigliosa che si chiama gioco del calcio;

– quando sbagliano gli arbitri ci restano male. Molto. Non come chi ritiene di aver subito un torto, ma quasi;

– se il pubblico davanti al televisore potesse ascoltarli, oltre che vederli all’opera, certamente capirebbe tante cose. Continuerebbe ad arrabbiarsi per il fischio contro la sua squadra, ma avrebbe la visione completa e potrebbe apprezzarne preparazione e competenza e di sicuro avrebbe qualche dubbio in più prima di pronunciare la fatidica frase: “Questo rigore l’avrebbe visto pure un cieco”. Gli arbitri che vedono poco e male a un certo punto smettono. Gli altri possono sbagliare – sono umani -, ma non hanno problemi di diottrie;

Ho capito anche che il futuro prima o poi diventerà presente per tutti. Quando? Temo non subito, ci sono tanti muri da abbattere primo fra tutti quello della diffidenza. Ma dopo averlo sperimentato vi assicuro che il futuro esiste ed è bellissimo. Credo d’aver capito che piacerebbe anche agli arbitri arrivarci in fretta. Anzi, lo hanno detto apertamente.

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