Salviamo la famiglia

E si farà l’amore, ognuno come gli va
Anche i preti potranno sposarsi
Ma soltanto a una certa età

E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppo furbi
E i cretini di ogni età”

Chi di voi ricorda questa struggente quanto meravigliosa canzone di Lucio Dalla “ L’anno che verrà”? Se l’aveste dimenticata o non la conosceste, Vi invito ad andarvela a sentire su You tube, o dove volete voi.

E’ una lettera di speranza che Lucio Dalla scrive a un amico, pare imprigionato per motivi politici, facendo il resoconto dell’anno appena trascorso e delle aspettative di quello che verrà, esortandolo a non dimenticare l’importanza di essere, di esistere, a prescindere da quello che di brutto o di bello ci sia o stia capitando.

In epoca di ingiustizie sociali sempre più gravi, cambiamenti climatici radicali, pandemie tutt’altro che archiviate (basti vedere che in Cina, là dove tutto è cominciato, pare stiano vivendo un’apocalisse), guerre che spopolano e mettono al buio una grande nazione alle soglie dell’Europa, crisi economiche ed energetiche globali, la società muta pelle a propria volta e spinge per l’atomizzazione delle forme di unione sociale, con in testa – da sempre – la famiglia.

Solo due secoli fa Fëdor Dostoevskij sacralizzava questa formazione primigenia scrivendo: “Ho sempre pensato che non v’è nessuna felicità maggiore di quella della famiglia”, cui faceva eco George Bernard Shaw: “Una famiglia felice non è che un anticipo del paradiso”.

Sembra passato un millennio, quantomeno in Italia e nel mondo occidentale in genere, dove tutto sta evolvendosi così velocemente da lasciarci straniti e increduli verso un metaverso che ci ingloberà in una realtà virtuale di sentimenti effimeri.

I nostri padri costituenti non avevano probabilmente idea, quando scolpirono il concetto di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, che poco più di mezzo secolo dopo proprio il matrimonio sarebbe diventato un istituto relitto, svuotato di ogni sostanziale significato.

Le statistiche Istat fotografano un inesorabile declino di chi sceglie di salire all’altare e dopo la batosta del Covid nel 2020 (con il numero dei matrimoni al minimo storico), la ripresa del 2021 non ha permesso di raggiungere il livello pre-pandemia.

Che poi ‘salire all’altare’ è rimasto solo un modo di dire, visto che i matrimoni in abito bianco davanti al ministro di culto oggi sono vertiginosamente diminuiti e rappresentano una parte trascurabile (1/4 circa) rispetto a quelli in Comune.

Altro segno dei tempi.

Ci si sposa meno perché aumentano le famiglie di fatto, si dirà.

Più no che sì: è aumentato esponenzialmente il ‘pendolarismo sentimentale’, in parallelo con una vita sempre più individualista. Tant’è vero che le unioni civili (anche quelle tra eterosessuali) non sono mai decollate. Il risultato è il crollo sempre più massiccio della natalità, con il record negativo del 2021 e un 2022 che, quando saranno disponibili i numeri, certificherà un nuovo primato.

Meno matrimoni quindi meno separazioni e divorzi? Macché.

Siamo alla doppia cifra: +36% è il dato del 2021 rispetto al 2020 (perché quello del 2022 non è ancora disponibile). Quindi, ricapitolando: ci si sposa meno, ci si unisce meno, si fanno meno figli.

Beh, si dirà, almeno i pargoli figli unici sono più seguiti.

Nemmeno per idea. La criminalità giovanile, che vedeva l’Italia fanalino di coda (per una volta essere tra gli ultimi era cosa positiva), si sta pian piano adeguando alla media europea e, per farlo, registra un balzo significativo in avanti nei reati compiuti dai minorenni. Soprattutto stiamo assistendo al fenomeno delle baby-gang, quelle ‘paranze’ che abbiamo imparato a conoscere nelle serie tv ambientate a Napoli nei quartieri più difficili.

Oggi le bande di giovanissimi teppisti dilagano in tutto lo Stivale, da nord a sud, e coinvolgono tutti gli strati sociali e le etnie: se ci illudiamo che le baby-gang siano composte solo da sbandati figli di immigrati sbagliamo di grosso, visto che la cronaca registra il coinvolgimento di giovani italiani anche di ‘buona famiglia’.

Il governo appena insediatosi è conscio del problema e pensa a misure come il DASPO, con il divieto di chi delinque di raggiungere i luoghi di ritrovo dei suoi ‘amici’ e il blocco sui social. Come fermare un leone inferocito con un veemente rimprovero.

La radice del male che affligge noi esseri umani è il progresso.

Affacciatevi su un viale affollato e guardate le persone che passeggiano, quelle sedute nei bar o sulle panchine, quelle in attesa del mezzo pubblico alla fermata.

Tutti, con pochissime eccezioni, avranno il capo chino e la mano che sorregge un dispositivo che ne assorbe le attenzioni: già, il cellulare è diventato il nuovo Dio, internet, i social, i giochi on-line, le chat.

Abbiamo perso la qualifica di persone e siamo diventati Avatar di noi stessi, smarrendo il contatto con questo mondo, con la socialità vera, fatta di incontri in carne e ossa, risate vere (non le faccine ipocrite di WhatsApp), litigate persino.

In questo metaverso non c’è spazio per la famiglia, luogo di sacrificio e compromessi, dove non è possibile chiudere la chat per risolvere i problemi.

C’è una speranza quindi per questo 2023?

Forse una soltanto: quella di un black-out totale, come avvenne quella notte a New York nel 1965 quando la città rimase al buio più completo per 13 ore. Le persone dovettero fare a meno di uscire, guardare tv o ascoltare la radio: e nove mesi dopo si registrò il più grande baby-boom della Grande Mela (+13%).

Ecco, c’è da auspicare una saturazione tale da liberarci dal giogo di questi diabolici strumenti che ci alienano ora dopo ora, così da riappropriarci della nostra vita. Quella vera.

Quella che mette i valori della famiglia al centro e condivide i pensieri di Dostoevskij e Shaw.

Vedi, caro amico, cosa ti scrivo e ti dico,

E come sono contento

Di essere qui in questo momento

Vedi, vedi, vedi, vedi.”

Info: missagliadevellis.com

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