Greenflation, l’inflazione legata alle politiche pubbliche sul vento

Come Dorothy ne Il mago di Oz, Ursula Von der Leyen nel suo Discorso sullo stato dell’Unione, ha sostenuto che ”l’inflazione persistente” o ”l’insolito insieme di problemi dell’industria eolica” sono solo piccole buche temporanee sulla strada del nirvana economico e climatico. Buche che, opportunamente riempite con più soldi dei contribuenti, o meglio “un pacchetto europeo per l’energia eolica”, consentirebbero all’Europa di raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi di neutralità carbonica.

Ma la buca ha un nome ben preciso: “European Green Deal”, responsabile della deindustrializzazione e del rialzo incontrollato dei tassi di interesse che affliggono l’Europa. La crisi in cui si dibatte il Vecchio Continente è una crisi energetica figlia della scelta adottata nei decenni precedenti di affidarsi a eolico e fotovoltaico come energie per raggiungere target climatici sempre più irrealistici. Una scelta drammaticamente sbagliata, coperta dalla foglia di fico costituita dalla disponibilità illimitata di energia fossile russa a basso costo.

L’insostenibilità di queste scelte è apparsa in tutta evidenza con il conflitto ucraino e la cartina di tornasole è stata la Germania, che aveva fondato la sua Energiewende (Le politiche climatiche verdi avvelenano l’economia tedesca – Panorama) proprio sull’illimitata disponibilità del gas russo per sostenere la fragile sicurezza energetica del paese quando le sue decine di migliaia di pale eoliche diventavano improvvisamente inutili perché il vento smetteva di soffiare.

Invece per la Presidente della Commissione Europea “la nostra industria eolica rappresenta un esempio di successo europeo” che, solo per “l’insolito insieme di problemi”, presenta bilanci che registrano enormi perdite per quanto goda, da anni, di un mercato estremamente favorevole, agevolato dagli incentivi europei alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. L’insolito insieme di problemi riguarda, tra gli altri, i controlli di qualità delle turbine che hanno imposto a produttori come Siemens e Vestas di ricorrere a costose riparazioni in garanzia gravando i loro bilanci con miliardi di euro di costi non previsti.

Ma il vero problema che affligge gli industriali del vento, è la greenflation, l’inflazione legata alle politiche pubbliche attuate nell’ambito della transizione verde, un’inversione di tendenza nei costi delle materie prime a cui stiamo assistendo ormai da tempo e che sta costringendo le utility del settore eolico, in Europa e negli Stati Uniti, a cancellare i loro progetti, spesso con costose penali, a causa di incentivi non più sufficienti e dell’aumento dei tassi di interesse.

Su tutti il caso di Ørsted, la società di proprietà del governo danese, che ha annunciato che, senza ulteriori sussidi e prezzi contrattuali più elevati, dovrà cancellare miliardi di dollari di progetti negli USA. L’effetto sul titolo è stato tale da riportare il suo valore azionario al livello più basso dal 2018, quando gli investitori correvano per entrare nel nirvana dell’energia verde: era l’era della bassa inflazione e dei tassi di interesse azzerati che spingeva Ørsted ad espandersi a livello globale.

Andamento azionario del titolo Ørsted.

Andamento azionario del titolo Ørsted.

Ma il primo fattore che guida “l’inflazione persistentemente elevata” sottolineata da Ursula Von der Leyen, è il cambiamento climatico, vero o presunto, e questo non sembra essere un fenomeno temporaneo. Perché la tendenza a lungo termine, che spinge al rialzo i prezzi dell’energia e dei metalli, è la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, che agisce da moltiplicatore sulla domanda di metalli necessari per alimentare i programmi della “rivoluzione verde”.

L’asta per i nuovi parchi eolici offshore da realizzare nel Regno Unito, l’ex Arabia Saudita del vento, è andata clamorosamente deserta: troppo basso il price cap a 60 sterline per MWh. Perso il treno della competitività economica l’industria eolica si trincera sulla sua (presunta) centralità nella transizione energetica. Secondo Christian Bruch, CEO di Siemens Energy, “la transizione energetica senza energia eolica non funziona” mentre per Markus Krebber, amministratore delegato di RWE, l’eolico offshore è fondamentale per garantire che l’Europa possa raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi di neutralità carbonica.

Jochen Eickholt, amministratore delegato di Siemens Gamesa, per salvare la sovranità energetica europea suggeriva ai legislatori di conferire al settore eolico lo status di industria strategica. (La Cina pronta a mangiarsi anche l’industria eolica europea – Panorama) Eickholt dimentica che anche per le energie verdi la sovranità energetica è subordinata alla disponibilità delle materie prime: come può essere strategica un’industria figlia della dipendenza europea dall’approvvigionamento delle materie prime?

Gli aumenti dei costi delle materie prime, causa dei dolori dell’industria eolica europea, non sono transitori: le stime indicano in poco meno di un trilione di dollari la spesa prevista per le compagnie minerarie in investimenti in attività di natura operativa per permettere la crescita della capacità primaria entro il 2030. Questo solo per evitare colli di bottiglia verso il raggiungimento di “Net-Zero” ed in più del doppio, 2 trilioni di dollari, per ottenere una transizione energetica accelerata.

La greenflation è dovuta ad un’offerta che non sarà al passo con l’impennata della domanda inducendo aumenti del costo dei metalli. Inoltre l’impennata della domanda spingerà i paesi che hanno questi minerali a bandirne le esportazioni: un’ondata di nazionalismo delle risorse si riverserà sul settore minerario (Le supply chain globali e la sfida del nazionalismo delle risorse – Panorama). Notizia di questi giorni Codelco, il più grande produttore globale di rame, sta terminando i contratti a lungo termine del concentrato di rame ai clienti cinesi dal 2025 per rivederne le condizioni.

L’offerta dell’industria mineraria è destinata a rimanere anelastica per molto tempo, poiché può essere ampliata solo attraverso una maggiore capacità estrattiva e, solo successivamente, con un maggiore riciclo. L’origine dei problemi dell’industria eolica ha radici lontane e la Commissione non ha alternative concrete su cui operare se non scaricando sulle tariffe energetiche degli utenti finali i costi per sostenere le sue scelte ideologiche.

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