Dopo giochini politici in Spagna si vota. E potrebbe cambiare tutto, anche in Europa

Vox populi vox dei. Mai sentenza fu più calzante come nel caso delle imminenti elezioni spagnole per il rinnovo del Parlamento. Elezioni dove il blocco delle destre, grazie all’ascesa del partito Vox, darebbe al Partido Popular (Pp), la piena governabilità con 173 seggi, ovvero solo tre in meno della maggioranza assoluta. A prospettarlo è l’ultimo sondaggio disponibile in Spagna (aggiornato al 17 luglio) prima del silenzio elettorale.

Dal 2019 il partito Vox è cresciuto in maniera repentina fino a ottenere ben 52 seggi su 350 in Parlamento, qualificandosi come terza forza politica nazionale spagnola. Anche per questa ragione, è diventato l’osservato speciale dell’intera Unione Europea, dove molti mal digeriscono l’ascesa delle destre e degli «estremisti» che – come già in Italia, Francia, Spagna – sono usciti dall’anonimato e dalle periferie della politica continentale, andando a conquistare progressivamente sempre più larghe fette di popolazione, e finanche a conquistare il governo, come appunto avvenuto in Italia.

Giorgia Meloni, per l’appunto, ha un buon rapporto e di lunga data con Vox, e certamente esulterà in caso di vittoria della destra in Spagna. All’ultimo appuntamento dal partito conservatore spagnolo che l’ha vista coinvolta, la presidente del consiglio italiano ha infatti dichiarato: «Vox sta facendo un lavoro meraviglioso e appassionato, sotto la guida di un grande leader come il mio amico Santiago Abascal», aggiungendo poi: «In Italia usano l’alleanza con Vox per definirci impresentabili, come probabilmente in Spagna usano l’alleanza con Fratelli d’Italia per definirvi impresentabili. Ma davvero possono essere impresentabili movimenti politici sostenuti da milioni di cittadini?».

La domanda è lecita, visti i numeri e le proiezioni. Anche se il Psoe è dato in leggero recupero, intorno ai 107 o 110 seggi, tuttavia il divario con il Partido popular resta intorno ai 5 punti percentuali, con Vox che potrebbe confermarsi quale terzo partito piazzandosi davanti a Sumar, il nuovo progetto di Yolanda Diaz che la ministra del Lavoro ha posizionato alla sinistra dei Socialisti di Sánchez.

Pedro Sanchez è stato l’autore della manovra politica che nel 2018 ha fatto cadere il governo di Mariano Rajoy con un voto di sfiducia, l’unico che sia riuscito da quando la Spagna è una democrazia. Il 2 giugno di quell’anno è stato così nominato a capo di un governo di minoranza. Ma da quel momento in avanti ha subìto un lento e costante logoramento, anche a causa di una fronda interna al Psoe, che lo scorso maggio lo ha portato a prendere una decisione inaspettata: anticipare le elezioni generali.

Il suo tentativo di sparigliare le carte per impedire alle destre di presentarsi preparate e compatte a questa tornata elettorale, però, sembra non aver inciso nel giudizio degli elettori, almeno a giudicare dai sondaggi disponibili. Se questa strategia avrà o meno pagato, tuttavia, lo vedremo presto. Però, è già di per sé evidente che giocare la campagna elettorale sul rischio del ritorno del fascismo in Europa non funziona. Anzi, vale il contrario, come insegna in Italia il caso Fdi e Pd: la disastrosa campagna elettorale guidata da Enrico Letta, ex segretario dem, ha consegnato il Paese in mano a Giorgia Meloni.

Come sottolinea l’analista politica spagnola Veronica Fumanal (vicina a Sanchez), «si tratta di una guerra di identità, non ideologica. E di solito questi politici [di destra, ndr] poi non vengono rieletti, come accaduto a Trump e Bolsonaro. Solo nei Paesi dove queste convinzioni [conservatrici e di estrema destra] sono davvero radicate nella società, come la Polonia e l’Ungheria, governi così resistono».

Esattamente come in Italia, inoltre, anche la sinistra spagnola è sempre più disunita e litigiosa: da un lato Podemos-Unidas in crisi di consensi, dall’altro la ministra del Lavoro Yolanda Diaz che ha fondato un nuovo partito di sinistra, appunto Sumar, allo scopo di candidarsi a diventare la prima donna premier di Spagna. Questo ha generato uno smarrimento generale dell’elettorato di sinistra e una conseguente crisi di consensi proseguita fino a oggi, senza che idee o ricette politiche potessero arginare la perdita di fiducia da parte dei cittadini spagnoli verso Sanchez e la sua parte politica

Vedremo nelle urne quanto ciò sia aderente alla realtà. Intanto, però, è indubbio che Vox continui a macinare consensi. Ed è un risultato importante per un partito nato ufficialmente meno di dieci anni fa, esattamente nel dicembre 2013, quando una parte dei popolari di Mariano Rajoy, si staccò in polemica con alcune scelte troppo pilatesche del governo. Così è iniziata l’avventura solitaria di Santiago Abascal, presidente di Vox dopo un’esperienza come deputato nel parlamento regionale basco, proprio per il Partito popolare.

Abascal ha subito posizionato Vox tra i partiti conservatori, e lo ha descritto come alternativo allo stesso Partito popolare: «Il nostro progetto si riassume nella difesa della Spagna, della famiglia e della vita, nella riduzione del ruolo dello Stato, nel garantire l’uguaglianza tra gli spagnoli e l’eliminazione del governo dalla vostra vita privata». Il che si traduce con una battaglia di valori volta a contrastare fenomeni quali l’immigrazione incontrollata, l’affermazione delle minoranze islamiche e maggiori diritti per gli omosessuali.

Anche per queste ragioni, Bruxelles osserva con preoccupazione il voto iberico in vista delle elezioni europee del giugno 2024. I progressisti temono gli effetti di un governo di estrema destra in Spagna, che potrebbe consolidare la maggioranza relativa europea e confinare l’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo (dove è iscritto il Pd italiano) nelle file della minoranza. Con il riemergere di numerosi contrasti in sede dibattimentale, in una situazione geopolitica delicata e non facile da quando la Federazione russa ha invaso l’Ucraina.

Ma, tornando alla politica interna spagnola, a essere preoccupato di Vox è lo stesso leader del Partido Popular Alberto Núñez Feijóo che, se anche otterrà la maggioranza grazie ai voti dell’estrema destra, non avrà automaticamente la premiership. Non a caso, il leader dei popolari non plaude quasi mai a Vox; anzi, nei comizi evita volutamente di parlarne e chiede semmai un voto utile ai moderati, che temono un’affermazione sopra le aspettative di Santiago Abascal e del suo partito. Più o meno, il concetto è così sintetizzabile: «L’unica garanzia per non avere Vox al governo è votare in massa noi del Pp». Ma poiché è inverosimile che il Pp ottenga la maggioranza assoluta, un accordo con Vox in caso di vittoria appare inevitabile. Questo, a dispetto dei duri e puri di Vox stessa, che a loro volta non gradiscono le posizioni moderate di Alberto Núñez Feijóo su temi a loro cari quali: aborto, nozze gay, autonomia regionale, fedeltà alla Nato e all’Ue.

Sembra un po’ la diatriba che fu tra Forza Italia e Fratelli d’Italia alla vigilia delle elezioni che hanno poi portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Ogni discorso incendiario, come vuole il cinismo della politica, allora come oggi è stato stemperato e ricondotto a più miti orizzonti e a un compromesso funzionale alla governabilità. Non c’è ragione di credere che lo stesso non accadrà in Spagna, se la destra dovesse affermarsi.

Anche perché a unire il blocco delle destre c’è l’obiettivo comune di archiviare l’esperienza governativa di Pedro Sanchez e del «sanchismo», che pur di mantenersi al potere ha commesso l’errore fatale di strizzare l’occhio al partito Bildu, additato come «il braccio politico di Eta», ovvero la formazione terroristica dei Paesi Baschi che per decenni ha minacciato con attentati e azioni spettacolari l’ordine pubblico in Spagna. L’appoggio esterno degli autonomisti baschi di Bildu al suo governo è stato certamente uno dei fattori che hanno spinto gli indecisi ad abbandonare il Psoe e ad avvicinarsi a posizioni di destra: anche perché alle ultime amministrative Bildu ha candidato sette politici che in passato avevano militato nell’organizzazione terroristica Eta ed erano state condannate per reati gravi, tra cui persino omicidi politici.

La destra Pp e l’estrema destra di Vox, inoltre, sono già state alleate in più occasioni a livello locale: come nella comunità autonoma Valenciana, nella regione di Castilla-León e in Estremadura. Non c’è ragione di credere che, dopo un’eventuale vittoria alle elezioni politiche di domenica, non vorranno fare altrettanto.

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