Clima, alluvioni e siccità: cosa succede in Italia

È innegabile che stiamo vivendo degli eventi estremi di tipo metereologico. In questi giorni stanno avvenendo dei temporali particolarmente forti nel nord Italia, soprattutto in Lombardia e in Veneto. Forti precipitazioni hanno colpito il Friuli-Venezia Giulia, dove la Protezione civile ha dichiarato che piogge così intense in poco tempo «tendono a verificarsi statisticamente una volta ogni 20-30 anni». Disagi anche in Trentino-Alto Adige. In diverse altre zone del nord una serie di stravolgimenti climatici hanno causato allagamenti, grandinate, nubifragi, esondazioni, frane e tanto altro. Ed è curioso notare come prima di tutto ci fosse l’allarme siccità e adesso è stato diramato l’allarme alluvione. Quest’ultimo, infatti, ha colpito in modo significato l’Emilia Romagna, trovatasi in ginocchio a causa dell’esondazione dei fiumi e della violenza dell’acqua che ha spazzato via tutto ciò che ha trovato su sul percorso. Invece guardando più a sud della penisola italica, troviamo temperature elevatissime che hanno alimentato vasti incendi, in particolare in Sicilia, in Calabria e in Sardegna.

Ma cosa sta succedendo al meteo? Quali sono gli effetti sul territorio italiano? È sempre stato così? Dove ci stiamo dirigendo? I dati scientifici parlano chiaro: le temperature globali si sono alzate e questo, paradossalmente, ha comportato un’alterazione negli eventi climatici sia nelle temperature alte sia in quelle basse. Per capire meglio la natura dei cambiamenti metereologici che stiamo vivendo abbiamo chiesto a Francesco Vincenzi, imprenditore agricolo del modenese e Presidente di ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue), di fare chiarezza sulla questione.

Che cosa genera questa continua alternanza climatica, tra temperature elevatissime e abbondanti alluvioni?

«Sicuramente il cambiamento climatico è un fattore reale. Ma l’Italia è un po’ il “front office” (“ufficio davanti”) tra il Nord Europa e l’Africa, quindi è il luogo cardine dove si scontrano alte pressioni, appunto provenienti dall’Africa, con basse pressioni provenienti dal Nord Europa – o dall’assoluto nord dell’Europa. Questo scontrarsi trova un’atmosfera carica di energia dovuta ad altissime temperature, che a loro volta determinano fenomeni di grande violenza come quelli che ci sono stati negli ultimi giorni, proprio com’è successo recentemente su Milano oppure, guardando più indietro, in Emilia Romagna. Dunque, tornano grandi incendi al sud e intense piogge tropicali al nord. Le piogge trovano terreni asciutti e duri, come l’asfalto, e l’acqua quando acquista velocità diventa un’acqua che fa danni. Quindi noi dobbiamo predisporre il territorio a questo tipo di fenomeni. Perciò la strada migliore da intraprendere sarebbe quella di raccogliere l’acqua in eccesso per poterla allontanare dai territori e dar maggior sicurezza ai cittadini e alle infrastrutture, di qualsiasi natura esse siano: dal capannone fino all’ospedale.»

Dove finisce l’acqua che non si riesce a conservare?

«È pazzesco da pensare, ma si spendono molte risorse per portare l’acqua piovana in tutta fretta a ridosso degli impianti idrofobi per sollevarla e buttarla infine nel mare. Questo significa che quest’acqua diventa salata e non è più utilizzabile. Ed è un peccato perché potremmo raccoglierla per averla a disposizione per quando manca.»

Dunque come si potrebbe fare?

«Noi dell’Anbi abbiamo presentato insieme a Coldiretti (la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana) il “Piano Laghetti” per proseguire in questa direzione, ossia nello sviluppo di politiche di adattamento che noi chiamiamo “manutenzione per straordinaria del territorio”, “infrastrutturazione straordinaria del territorio” e dall’altra parte le chiamiamo anche “innovazione per una gestione più parsimoniosa dell’acqua da offrire all’agricoltura”. Con tutte queste iniziative messe insieme e queste politiche di adattamento si possono aiutare i territori ad essere migliori, ad esempio raccogliendo e conservando l’acqua per poterne fare tesoro nel momento del bisogno.»

Quindi c’è speranza per il futuro?

«Sì. Serve un po’ più di determinazione, ma possiamo far fronte alle problematiche legate alle alluvioni e alla siccità.»

E per quanto riguarda il passato, è sempre stato così?

«Noi siamo convinti – e d’altronde lo siamo statisticamente parlando – che questi episodi avevano una cadenza secolare nel passato, poi hanno avuto cadenze sempre più ravvicinante. Oggi possiamo dire che l’anno più siccitoso è stato il 2022. Ma oggi dobbiamo entrare nell’ordine di idee che questi eventi saranno sempre più frequenti e costituiscono la normalità. Di conseguenza anche i nostri ragionamenti e le nostre scelte politiche devono in qualche modo tenerne conto ed essere coerenti.»

Qual è una delle problematiche peggiori?

«Noi italiani, ad esempio, quest’anno avremo a disposizione meno cibo. E non è possibile rivolgersi ad altri paesi per sopperire a tale mancanza, perché tutto il resto del mondo ha i medesimi problemi. Identici. E questo si riverbera sulla qualità della vita e sul potere di acquisto dei consumatori. Ma l’Italia subisce un po’ di più le conseguenze climatiche e i danni agricoli, proprio perché siamo un “front office”, dove si confrontano le alte e le basse temperature e nel confrontarsi e scontrarsi si formano delle celle che scaricano a terra fiumi di acqua in un posto dove settimane prima c’erano state temperature elevatissime. Questo è il quadro.»

Perché il nord e il centro-nord è stato più colpito di altre zone?

«La Sardegna nel 2022, ad esempio, è stata la regione che ha sofferto meno la peggiore siccità degli ultimi 300 anni per un motivo molto semplice: perché nel dopo guerra delle politiche longimiranti con la cassa del mezzogiorno avevano infrastrutturato bene il territorio sardo, dotandolo di bacini, e queste dighe hanno consentito di non sprecare l’acqua in mare e al contempo di avere l’acqua per il turismo, per l’agricoltura e per i cittadini della regione. Invece le regioni dove mai si sarebbe pensato al problema dei cambianti climatici e della siccità, come l’Emilia Romagna, il Piemonte, la Lombardia e il Veneto, hanno molto sofferto. Infatti quest’anno ci sono stati migliaia di ettari di riso in meno in Piemonte e nella Lombardia a causa della mancanza d’acqua. Il riso in quelle aree significa anche turismo, ed è oggetto, essendo riso IGP, di tantissime risaie e di tantissima occupazione. Venendo a mancare l’acqua per il riso, manca l’occupazione, manca il turismo e manca l’economia.»

Quanto tempo serve prima di riuscire a ripristinare una sorta di equilibrio?

«Se partiamo adesso con il “Piano Laghetti” dovremmo essere pronti entro il 2030. Se si parte subito per lo meno si riesce a recupare la fiducia delle imprese e si da un senso ai cittadini affinché sappiano che il paese torna ad essere operativo. In realtà, nel frattempo, si sta già facendo qualcosa per salvaguardare il territorio, ad esempio con il Pnrr ci sono state risorse importanti che sono andate in queste direzioni. Infatti noi le stiamo utilizzando con un certo orgoglio.»

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