La legge sull’export delle armi consente alla sinistra i divieti ideologici

Quali, quante e dove finiscono le armi fatte in Italia. Dove esiste una legge – da riformare – per la quale ogni governo può cambiare idea. Ma raramente un esecutivo dura più di due anni, così le nostre aziende inseguono le concorrenti perdendo opportunità.


Tra le preoccupazioni del precedente governo c’era la riduzione dell’export di armi, così il Conte 2, come i precedenti tre, aveva limitato le vendite all’estero, stavolta a scapito di Arabia Saudita ed Emirati. Facendo autogol ovviamente, anche perché la manovra ha lasciato spazio ad altre nazioni che, seppure si dichiarino europeiste, mai rinunceranno al denaro proveniente da commesse mediorientali, dove essere influenti nella Difesa significa aprire le porte a molti altri mercati. L’Italia comunque esporta droni volanti e sottomarini, sistemi di trasporto ed elettronici, missili Otomat Mk2 e Marte Mk2, radar aeronautici per la sorveglianza marittima, autocarri, pattugliatori marittimi, motovedette, aerei da trasporto C-27J, velivoli addestratori ed elicotteri.

L’Autorità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), che dipende dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da quello dell’Interno, della Difesa e dell’Economia e Finanze, è l’organo competente al rilascio delle autorizzazioni allo scambio degli armamenti, per la certificazione delle imprese costruttrici e per la verifica dei contratti, ovvero il controllo delle operazioni che rientrano in quanto previsto dalla legge 185 del 9 luglio 1990. Ma poi su tutti c’è la decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questa legge aveva previsto un comitato interministeriale (il Cisd), che fornisse gli indirizzi nei casi più complessi e comunque desse le direttive di politica dell’export di armamenti, ma tale comitato è stato soppresso nel 1994, mentre ancora oggi all’Art.1 della legge è scritto: “L’esportazione, l’importazione e il transito di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di Difesa dell’Italia.” Ovvero la norma prevede che la volontà e l’assenso cambino a seconda del governo in carica, spesso contraddicendosi e lasciando alla valutazione politica, o meglio dire ideologica, l’ok o la negazione all’esportazione verso una determinata nazione. Ovviamente c’è chi, come Guido Crosetto presidente dell’associazione delle imprese dell’aerospazio e della Difesa e della sicurezza (Aiad), da tempo chiede che un Comitato o una Commissione vengano ripristinati in modo da poter valutare le opportunità industriali più rigore e raziocinio, in modo da evitare situazioni che spesso ci pongono in grande imbarazzo con i nostri clienti. Come avvenne tempo fa per i pezzi di ricambio per gli aeroplani della pattuglia acrobatica emiratina Al Fursan, che utilizza gli MB-339 come le Frecce Tricolori. Un altro tema importante da affrontare saranno quindi i rapporti con il regno di Sua Maestà Elisabetta II, uscito dalla Ue ma dove esistono stabilimenti Leonardo, Mbda e dove stiamo partecipando, insieme con la Svezia, al programma per il caccia Tempest.

I numeri del nostro export militare

Leggendo gli atti e le relazioni di Uama si scopre che nel 2020 il valore totale delle autorizzazioni è stato di 4,82 miliardi di euro, dei quali circa 4,65 miliardi di export e 174 milioni di euro in entrata. Ma da questi numeri è escluso quanto proviene dall’interno della UE, mentre sono compresi i beni non consistenti in armi, munizioni e sistemi, ovvero la tecnologia, i servizi e i software dedicati alla Difesa. Se ci si limita alle armi, dai numeri si comprende che ne esportiamo sempre meno riducendo anche la tecnologia ad esse collegata, poiché se nel 2016 la cifra era di 14,6 miliardi è calata a 9,5 miliardi nel 2017, ai 4,7 del 2018 (-17% circa), a 4,08 miliardi nel 2019 per arrivare, al netto del valore delle autorizzazioni all’esportazione, ai 3,928 miliardi di euro del 2020. Se si guarda al numero delle licenze di produzione concesse, l’anno scorso risulta essere stato un periodo non distante dal 2019, mentre il crollo c’è stato nella quantità di denaro ricavato dalle autorizzazioni per l’intermediazione, passata da 456 milioni a poco più di 50. Il meccanismo è definito proprio dalla legge 185 del 1990 e prevede che questi servizi siano effettuati da società iscritte al Registro nazionale delle Imprese presso il Segretariato generale della Difesa, alle quali viene rilasciata una specifica licenza che autorizza la fornitura del materiale o del servizio direttamente da una società estera al committente estero. Come Francia, Usa, Russia, Cina e persino la Corea ampliano i loro portafogli clienti, a non aver subito grandi modifiche è stata anche la destinazione delle nostre esportazioni, concentrate perlopiù verso le nazioni Nato (34,54% dell’export), in Medioriente e in Africa settentrionale (38,57%), Usa (11,77%), Asia (9,48%), Africa centro-meridionale (0,92%), paesi europei non dell’Unione, non Nato e Nazioni Ocse extra europee (4,72%), per un totale di 87 nazioni. Quest’ultimo dato è significativo poiché è il secondo numero più alto da sempre dopo le 90 nazioni destinatarie registrate nel 2015. In pratica esportiamo meno ma anche noi abbiamo cercato nuovi clienti poiché alcuni mercati come l’America centrale e il Sudamerica, ma anche l’Oceania, hanno ridotto le importazioni che invece sono lievemente cresciute in Europa. Complessivamente nel 2020 le autorizzazioni in uscita sono calate del 10,18% (fonte Uama) da 5,173 milioni di euro del 2019 ai 4,647 del 2020. Il nostro miglior cliente dal 2019 a oggi è stato l’Egitto che nel 2020 ha pagato 991,2 milioni di euro, cifra che deriva soprattutto dalla vendita di due unità navali tipo Fremm. Ottimi clienti sono anche gli Usa (456,4 milioni), Regno Unito (352) e Qatar (212,2), quindi la Germania (197,6). E andando a controllare chi sono le società italiane che maggiormente hanno ricevuto le autorizzazioni all’export militare vediamo che sono 123 e che insieme hanno totalizzato il 91,48% del totale. In testa ovviamente Leonardo (31,58%), Fincantieri (25,27%), Iveco Defence Vehicles (8,66%) e Calzoni (5,81 %). Seguono Elettronica, Thales Alenia Space Italia, Mbda Italia, Avio, Aerea, Rheinmetall, Cantiere Navale Vittoria, GeAvio, Europea Microfusioni Aerospaziali e Ferretti.

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