Cultura e prezzo della sicurezza

Se diventerà verità giudiziaria il fatto che sulla cabina della funivia Stresa-Mottarone era stato volutamente lasciato inserito il blocco del freno per poter utilizzare l’impianto nonostante un’anomalia persistente, ci troveremo davanti al peggiore degli scenari immaginabili. Certamente sarà da chiarire anche perché una fune risultata sana ai controlli possa aver ceduto e possibilmente anche quale fosse il reale problema che avrebbe portato al blocco delle operazioni, incluso il suo costo finanziario. Purtroppo oltre alla cruda realtà ci darà la misura della svalutazione della vita di 14 persone e della sofferenza di chissà quante altre. Sapremo quindi, prima o poi, se anche nel caso della fune si sia trattato di negligenza oppure se la rottura sia stata in qualche modo imprevedibile. La domanda è però soprattutto un’altra: se si diventa disposti a rischiare una catastrofe in nome dei numeri da porre in un bilancio e dei soldi da mettere in tasca, peraltro derivanti da un servizio del tutto assimilabile a pubblico, allora sarebbe giunto il momento di rivedere completamente i criteri di assegnazione e gestione del trasporto, di imporre anche agli imprenditori, e non soltanto ai tecnici, conoscenze obbligatorie in materia di cultura della sicurezza e soprattutto di etica, per evitare che si scommetta il prezzo di un intervento tecnico con quello ben più alto della vita in nome della probabilità e dell’omertà.

Nei corsi di formazione sugli effetti del fattore umano sulla sicurezza, già obbligatori in diversi comparti dei trasporti, si studia che nel trinomio uomo-ambiente-macchina il primo è fallace, il secondo si può prevedere (come le previsioni del tempo) e il terzo è sempre sincero perché obbedisce soltanto alla fisica. Di più, si studia che il controllo serve per prevenire dimenticanze e azioni sbagliate, non per punire, che il porsi dubbi sia alla base della certezza e che non si può semplicemente confidare, o avere fede, in un’opera dell’ingegno umano.

Se un autobus si schianta perché si è rotto qualcosa il problema non sta soltanto nei freni o nel semiasse, sta nell’uomo che lo doveva controllare. Se un aeroplano cade c’è più dell’80% di probabilità che a sbagliare sia stato un essere umano. E molto siamo costretti a fare, a spendere e a discutere, perché il sistema dei controlli sia efficace in ogni comparto tecnologico. Ma sempre tutto è inutile se prima delle cose non sappiamo applicare la nostra etica. Nel caso della funivia pare si sia andati oltre: ci si è affidati alla dimensione “più che adeguata” di un elemento soggetto a una fatica quasi continua come la fune, e soprattutto ai suoi punti d’attacco (quelli verso i quali si concentrano i maggiori sospetti del cedimento), per non dover fermare le operazioni e pagare un “prezzo” proprio quando la gente avrebbe desiderato, pagando, essere portata in cima al Mottarone.

Dovrebbe essere impensabile per chi si occupa di trasportare le persone a qualsiasi titolo, eppure pare che questa mancanza di rispetto per le regole, questa scarsa considerazione per ciò che è “imposto dalla carta” come fosse disgiunto dalla realtà, sia ancora una sottocultura imperante in questo Paese, e poco importa che si tratti di un ponte oppure di una funivia. Però chi paga questo prezzo sono le vite spezzate e le famiglie distrutte, sono tutte le persone che non avevano mai neppure immaginato che il freno di una cabina sospesa dovesse essere bloccato e sbloccato ogni giorno. Con la giustizia, a pagare saranno anche quelli che hanno fatto quella scommessa.

Soprattutto, in una nazione che fa del turismo uno dei numeri più interessanti del suo Pil si dovrebbe amare la manutenzione, intesa come cura della sicurezza, più della produzione e questo vale per un terreno che frana perché disboscato, per una ferrovia nella quale si monta male e di fretta un componente e anche per le funivie. Più del manager che conta i numeri e non dovrebbe mettere parola su quanto sia tecnicamente necessario fare per la sicurezza, conta l’etica del tecnico che non accondiscende e applica la sua competenza rispettando la cultura della sicurezza. Che in Italia evidentemente va riportata alle persone cominciando dalle scuole. Oggi lo sappiamo, è l’investimento in sicurezza più urgente da attuare.

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