Cina e Russia alla conquista dell’Africa (e gli Usa rincorrono)

Completamente concentrati sulla gestione della pandemia e sulle scaramucce politiche estive, inconcludenti sul piano della politica estera comunitaria, noi europei ci stiamo dimenticando di quanto accade in Africa. In ambito militare la concorrenza tra Stati Uniti, Cina e Russia sta aumentando e il teatro geopolitico dove questa sfida si gioca maggiormente è nelle nazioni della fascia equatoriale. Qui gli americani sono presenti da tempo e negli ultimi vent’anni i reparti speciali hanno dovuto concentrare i loro interventi di lotta al terrorismo principalmente nella parte orientale ma anche in quella settentrionale.

Ora, oltre a combattere i gruppi estremisti violenti, devono contrastare le aperture cinesi e russe in una regione in cui le grandi potenze sono sempre più in competizione per poter mantenere l’accesso al territorio, affermare l’influenza politica e naturalmente assicurarsi le risorse disponibili, alcune delle quali preziose e rare, come i metalli nobili.

I cinesi in Africa impiegano un numero di lavoratori sconosciuto ma che secondo le stime degli analisti dovrebbe aggirarsi attorno a 200.000 persone delle quali 130.000 tecnici e i restanti probabilmente militari (cinesi, contractors e africani da loro addestrati), tra Tanzania, Djibouti, Etiopia, Kenya, Algeria, Angola, Mozambico, Nigeria, Somalia, Zambia, Sudafrica, Sudan e Sud Sudan. Gli aiuti cinesi, sotto forma di prestiti finanziari e sviluppo di infrastrutture sono spesso criticati e considerati “predatori” proprio perché finalizzati alla ricerca di Pechino delle risorse naturali e l’affermazione come potenza globale. La Russia, dalle basi di Tartus e Port Sudan, è invece il primo fornitore di armi e consiglieri politici ai paesi africani ma anche il cliente di contratti redditizi per importare risorse naturali a costi contenuti cercando anche di sfruttare i rapporti commerciali per ottenere benefici geopolitici. come l’accesso a determinate regioni dominate da milizie senza subire attacchi o episodi di rapimento dei suoi operatori. Se in Tunisia, Egitto, Uganda e Libia la Russia opera sotto la forma di accordi per la cooperazione agricola, in Nigeria, Ghana, Camerun, Repubblica del Congo, Sudafrica, Sud Sudan e Mozambico offre aiuto per l’estrazione di risorse energetiche, di quelle minerali in Angola e ufficialmente di donazioni mediche in Uganda, Guinea e Angola.

Ma l’approccio degli Usa nei confronti dell’Africa è molto diverso rispetto a quello dei concorrenti: per poter competere in questa gara lo Zio Sam si è progressivamente concentrato sulla costruzione di relazioni diplomatiche e sulla promozione del sistema internazionale basato su regole e valori democratici. Washington offre a diverse nazioni sub sahariane prestiti e sovvenzioni, sebbene questi meccanismi, per poter funzionare, richiedono riforme che non tutti i leader autocratici possono o riescono ad attuare, così questi trovano più facilità e meno vincoli nell’accogliere le offerte cinesi e russe. Anche l’impegno militare è una parte importante della diffusione degli Usa nel continente, che tuttavia per molti anni è rimasto al di fuori di ciò che il Pentagono e le agenzie di intelligence statunitensi consideravano importante. Con le guerre in Afghanistan, Iraq e Siria che richiedevano quasi tutta l’attenzione e le risorse disponibili, gli Usa hanno ampiamente ignorato l’Africa anche quando sapevano che fosse il rifugio delle fazioni che causavano loro i maggiori problemi. Ma in questa situazione l’Africa sta diventando un campo di battaglia non dichiarato che consente alle truppe statunitensi di studiare le capacità dei loro concorrenti. In pratica oggi che l’area si sta dimostrando fonte di nuove minacce equipaggiate dalla presenza russa e cinese, l’amministrazione di Joe Biden è costretta a tenere sott’occhio molto attentamente chi e come fa affari dalle parti dell’equatore. E contrariamente all’approccio cinese e russo, gli Stati Uniti stanno dedicando la maggior parte dei loro sforzi a lavorare con le forze armate definite “partner” fornendo addestramento e talvolta una guida tecnologica e strategica, ma senza interferire laddove a condurre le operazioni sono Pechino e Mosca. I cinesi dal canto loro stanno comprando tutto ciò che è di loro interesse fin dal 1994, a cominciare dalle miniere, e pongono a difesa dei loro investimenti forze armate speciali appartenenti all’Esercito della Repubblica Popolare ma anche squadre di miliziani assunti e addestrati sul campo. Ecco perché l’azione americana in Africa appare ancora confusa, spesso portata avanti timidamente da ambasciatori nominati nell’era Trump che non aspettano altro che essere avvicendati rimanendo in una posizione di sicurezza. Così a Washington c’è chi caldeggia azioni più decise al fine di favorire cambiamenti democratici all’interno delle nazioni più radicate verso regimi di fatto totalitari. I nemici africani di Usa, Francia e Cina – e molto meno della Russia – si chiamano Boko Haram, Al Shabaab e Al Qaeda, ed anche se le truppe speciali Usa portano a termine decine di micro-operazioni definite “chirurgiche” la maggior parte delle attività riguarda la raccolta e lo scambio di informazioni con le nazioni europee che stanno contribuendo in modo significativo alla lotta contro i terroristi, con la Francia comunque in prima fila nelle regioni del Sahel come Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Nel gennaio di quest’anno una insurrezione islamista ha costretto il governo del Mozambico a rivolgersi agli Stati Uniti per chiedere un aiuto militare. Le squadre delle forze speciali dell’Esercito americano sono entrate per addestrare e consigliare le loro controparti ma non hanno praticamente mai colpito direttamente e ufficialmente le fazioni insorte. Ed anche quando si tratta di dover colpire un capo terrorista che è stato localizzato, nove volte su dieci sono le forze locali a intervenire, sempre ben spiate da quelle americane.

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