Viaggi: il fascino discreto delle «destinazioni clone»

Hanno caratteristiche simili a mete conosciute e blasonate, ma sono molto più economiche e meno affollate. Oltre un terzo degli italiani ne vuole visitare una per vivere un’esperienza originale.

Da calmo, il mare è una tavola piatta color turchese, quasi trasparente vicino alla riva dove culla un tappeto di sabbia candida. A volte l’acqua s’infuria, si gonfia d’onde di schiuma, lasciandosi cavalcare dai fanatici del surf. Potrebbero legittimamente sembrare le Hawaii, invece succede a Portonovo, nel parco del Conero, più a sud rispetto ad Ancona. Lo scenario e i colori sono pressoché identici rispetto alle celebri isole nel Pacifico con la differenza che non bisogna rinchiudersi in aereo per un’eternità, né farsi martellare il cervello dal fuso orario. E i costi risultano decisamente più abbordabili.

È il fascino di quelle che Oltreoceano, ossessionati dall’assegnare un’etichetta a qualunque fenomeno, vengono chiamate le «dupe destinations»: le destinazioni clone. Mete in fotocopia o dalle caratteristiche paragonabili rispetto ad altre fin troppo note, geograficamente meno remote rispetto alla posizione di chi le sceglie. Per noi italiani, da scoperta stanno diventando possibilità, anzi maturo e diffuso desiderio: secondo uno studio sulle tendenze di viaggio per il 2024 a cura di Marriott Bonvoy, il programma fedeltà degli alberghi Marriott International, il 34 per cento degli intervistati dice che ne sceglierà una nei prossimi tre anni. La ragione? Innanzitutto, economica: «Possono fornire» si legge nella ricerca «un’esperienza simile alle mete tradizionali, ma a costi minori». Gli esempi, alcuni li vedete in queste pagine, non mancano: dalle zone vinicole del nord della Spagna, che paiono un’importazione visiva del Sudafrica, all’isola di Skye in Scozia, con vibrazioni accostabili all’Islanda, senza i salassi di Reykjavík e dintorni.

Il gioco vale per la natura, come per le città, con un fattore comune non di poco conto: le alternative sono meno prese d’assalto, agevolano lo slow travel, quella lentezza parecchio apprezzata dai turisti tricolore: sempre secondo Marriott, il 41 per cento degli italiani si è invaghito di tale dinamica di vacanza, il 60 per cento la ripeterà. E raggiungere Belfast al posto di Londra, Siviglia invece di Madrid, Anversa anziché Amsterdam, garantisce un privilegio comune: un centro storico raccolto, da percorrere a piedi. Una regola anche a Lucca, più cheta di Firenze e con gioielli dell’ospitalità come il Grand Universe, in un palazzo che nel tempo ha accolto personaggi come Giuseppe Ungaretti o Giacomo Puccini. Le «dupe destinations» danno pure modo di scoprire luoghi emergenti, prima che diventino di massa. Un ottimo esempio è l’area di AlUla in Arabia Saudita, tra tombe monumentali ben conservate, rocce scavate di memoria, praterie d’incantevole deserto. A tratti ricorda Petra in Giordania, però senza un’ombra di folla. E se raggiungerla pare complesso, ci si può affidare a tour operator consolidati come Boscolo.com, che per il 2024 ha in catalogo un itinerario guidato con varie partenze durante l’anno e un ventaglio di tappe in Arabia, comprese le città, da Riyad a Medina e Gedda. Invece, a Portonovo nelle Marche ci si arriva in autobus dalla stazione di Ancona. E in un attimo ci si sente alle Hawaii.

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