Tumori, dopo diagnosi +42% di rischio cardiovascolare per i pazienti

Dopo la diagnosi di tumore si registra un aumento medio del 42% di rischio cardiovascolare per i pazienti: l’approccio della cardioncologia va dunque incentivato e vanno creati team multidisciplinari. E’ quanto emerso in occasione della presentazione, alla Camera dei Deputati, del libro ‘Cardio-Oncology. Management of toxicities in the era of immunotherapy’ (Ed. Springer), a cura di Antonio Russo, Nicola Maurea, Dimitrios Farmakis e Antonio Giordano.
    “Il volume raccoglie tutte le ultime evidenze scientifiche sulla cardioncologia, una disciplina che ha acquisito una notevole importanza negli ultimi anni -sottolinea Antonio Russo, Tesoriere Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e presidente del Collegio Oncologi Medici Universitari -. Questo è dovuto anche all’introduzione nella pratica clinica di nuove categorie di farmaci come quelli immunoterapici che hanno un peculiare profilo di tossicità. Sono delle molecole che portano, oltre ad un bagaglio importante di effetti benefici, anche un potenziale spettro di eventi avversi in grado potenzialmente di causare anomalie su tutti gli organi, compreso quello cardiovascolare. L’incidenza maggiore può arrivare fino al 5% e presentare tassi di mortalità che raggiungono anche il 40% come nel caso della miocardite. Si rende perciò necessario istituire corsi di formazione sulla cardio-oncologia nel percorso formativo dei medici”. Oggi, sottolinea inoltre il presidente Aiom Saverio Cinieri, “adottare strategie di prevenzione, diagnosi e trattamento delle complicanze cardiovascolari legate alle terapie antitumorali è diventato essenziale nel percorso di cura di un paziente”. Le malattie cardiovascolari e le neoplasie causano circa i due terzi di tutti i decessi nel mondo occidentale, avverte Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia: “Questo è in parte dovuto alla condivisione, tra le due patologie, di fattori di rischio molto frequenti. Il rischio di sviluppare cardiotossicità non è lo stesso per tutti i pazienti ma dipende da fattori legati al tipo di trattamento, alla dose di farmaco o alla presenza di malattie cardiovascolari preesistenti”. Per tali ragioni, conclude, “il programma di cura deve prevedere un’azione multidisciplinare e personalizzata”.
   

Leggi su ansa.it