Sull’alluvione nelle Marche si scoprono i No degli ambientalisti ai lavori sul Misa

Nelle Marche si continua a scavare nel fango, cercando di recuperare nei comuni colpiti quel poco che è rimasto dopo l’alluvione costata la vita ad 11 persone. In questa regione non è la prima volta che si deve ricostruire quello che è stato spazzato via della violenza dell’acqua infatti siamo alla terza alluvione, l’ultima avvenuta nel 2014. Ma solo oggi mentre si cerca il piccolo Matteo di 8 anni ancora disperso è caccia ai responsabili con l’inchiesta aperta dalla Procura di Ancona dove i carabinieri forestali stanno acquisendo testimonianze e documenti. Tra le varie cause dalle carte in mano alla magistratura si scoprono anche alcuni stop ai lavori di sistemazione del corso del Misa dovuti ai ricorsi presentati al Tar ed in procura da alcuni singoli cittadini o da associazioni per di più ambientaliste; non si può ignorare che ci fosse un progetto rimasto nel cassetto dal 1982. Si tratta di una cassa di espansione per limitare la pressione del fiume nei tratti cittadini mai realizzata da tre milioni cubi di capacità che i comitati e i sindaci hanno osteggiato sin dall’inizio.

C’è chi vi ritiene responsabili di aver fermato la cassa di espansione. Cosa può dirci?

«Noi siamo un comitato e non abbiamo alcun potere per fermare nulla – dice Paolo Turchi Comitato vasche di espansione Bettolelle e Coordinamento alluvionati – Ora vogliono scaricare addosso a noi la responsabilità di quanto è accaduto ma è solo della politica. Le nostre osservazioni sul progetto era riferite al fatto che la cassa che volevano costruire non era utile perché avrebbe contenuto poca acqua. Così con l’aiuto di tecnici specializzati abbiamo analizzato il progetto e ci siamo resi conto che le vasche non erano poi così sicure, perché tra le varie criticità c’erano gli argini di contenimento che prevedevano un restringimento da 80 a 16 metri dell’alveo del fiume e questo comporta un innalzamento del livello dell’acqua di un metro».

Quali sono i punti critici?

«Il fiume ha rotto l’argine sia nel 2014 che ora nell’ansa antistante l’area dell’invaso. Nel 2014 non però non c’era l’opera, con gli argini in parte completati. Noi vogliamo opere per la messa in sicurezza del Misa che siano utili, efficaci e che non creino ulteriore pericolosità. Le case abitate a ridosso del lato est dell’invaso sono 3.Io e la mia famiglia per queste pericolosità abbiamo scelto di risiedere da un’altra parte».

E cosa avete fatto?

«Come comitati abbiamo fatto varie richieste e petizioni perché non era una vasca ma una bagnarola e poi il progetto all’interno del “Contratto fiume” ormai era andato. Si perché il primo progetto come previsto dalla legge Merloni è stato cambiato perché era troppo vecchio e prevedeva tra le altre cose l’esproprio delle case a ridosso del fiume. Comunque ora la realizzazione della cassa è partita ma ribadisco la responsabilità del ritardo è tutta politica delle varie amministrazioni che si sono succedute e invece i giornali scrivono che è colpa nostra. In più c’è il Consorzio bonifiche che si occupa della manutenzione dei fossi e del fiume che ha fatto solo interventi tampone su 4 chilometri di arginatura invece andava fatto su tutto il fiume ma i fondi non sono mai sufficienti. La cosa assurda è che il Misa è stato anche premiato come fiume più sicuro d’Italia nel 2011 con il bollino della Protezione Civile».

«Abbiamo fatto spesso interventi di manutenzione ordinaria – aggiunge Luciano Montesi presidente Associazione Confluenze – e negli ultimi anni abbiamo formato associazione di scopo con una cooperativa e due aziende agricole. Quando la regione ci ha incaricato della manutenzione ordinaria durante l’ultimo intervento abbiamo notato in punto nel corso d’acqua a Borgo Bicchia, una delle zone più colpite anche dall’alluvione del 2014, una strozzatura naturale agli argini e l’abbiamo segnalata con dei comunicati stampa. Questo fiume è lungo 40 chilometri ed ha bisogno di molta manutenzione lo diciamo da 27 anni ma i fondi per questo tipo di interventi sono sempre pochi e si opera solo in urgenza con il “Contratto fiume” siglato per i territori del Misa e del Nevola fra i sindaci dell’area, la Regione, il Consorzio di bonifica, le associazioni ambientaliste e altri enti».

Che può dirci del progetto della cassa di espansione?

«Sulla cassa di espansione si è dibattuto molto soprattutto sul fatto che potesse creare problemi e degli eventuali espropri dove molti non si sentivano remunerativamente tutelati. Forse fatta meglio avrebbe potuto essere la soluzione perché il fiume come abbiamo visto il suo spazio se lo riprende da solo».

Com’è stata l’alluvione del 2014?

«Non era la stessa cosa, mai visto niente del genere. Nel 2014 erano già due settimane che pioveva e la bomba d’acqua è arrivata tra il 3 e il 4 maggio quando la terra ormai non assorbiva piu e gli argini si sono rotti in 20 punti. L’uomo ha fatto l’errore storico di costruire case a pochi metri dal fiume».

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