Monkey Man, un vendicatore ‘mitico’ in una società corrotta

“Un vendicatore che diventa un
giustiziere”: così il produttore Jordan Peele (cineasta abile
nel mescolare generi, culture e temi sociali in film come Get
out e Noi), qui solo in veste di produttore, riassume il senso
di Monkey Man, il thriller/revenge movie ad alta dose di
violenza (è tanta da diventare cartoonesca) e critica sociale,
debutto alla regia dell’attore britannico di origine indiane Dev
Patel (The Millionaire, Lion), anche protagonista. Il film, che
ha debuttato al SXSW festival, dove ha conquistato pubblico e
critici (alcuni l’hanno ridefinito il John Wick indiano), arriva
in Italia il 4 aprile e negli Usa il 5 con Universal.
    In questa sua opera prima, con uno straordinario cast che
comprende Pitobash, Vipin Sharma, Sikandar Kher, Adithi
Kalkunte, Makarand Deshpande, Patel ha unito il cinema che ama
(da Old Boy a Bruce Lee) a un viaggio nella cultura indiana, con
un percorso nel quale il protagonista diventa ideale
incarnazione di Hanuman, dal pantheon Hindu, la divinità
scimmia, simbolo di saggezza, forza, coraggio, devozione e
auto-disciplina.
    “Da bambino era come se mi volessi allontanare a scuola dalla
mia cultura, non era cool essere indiano – spiega Patel nei
dietro le quinte -. Ma per rompere gli schemi ti devi immergere
in qualcosa, così ho raddoppiato, triplicato l’immersione nella
mia cultura, che è vibrante e può essere avvincente”. Il nonno
di Patel gli aveva raccontato la leggenda di Hanuman “che mi
aveva catturato: lui viene punito per aver aspirato ad andare
troppo in alto. Ho pensato che avrei potuto lavorare su questo
elemento, dandogli un vero spessore sociale. Il film è un inno
per gli sfavoriti”. Nell’immaginaria città di Yatana va in scena la resa dei
conti del giovane protagonista senza nome (lo chiamano Kid,
ragazzo o Bobby, appellativo che prende da una scatola di
candeggina in polvere), che si mantiene facendo il lottatore in
incontri illegali, Monkey Man, con il volto nascosto da una
maschera di scimmia. I suoi bersagli sono il corrotto capo della
polizia, Rana (Kher), e chi gli dà gli ordini, il carismatico
guru Baba Shakti (Makarand Deshpande), tanto sociopatico quanto
avido, responsabili delle violenze e della morte di cui ‘Kid’ è
stato testimone e vittima da bambino, durante il raid nel suo
villaggio.
   

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