L’orrore oltre l’orrore dell’assassinio di Giulia Tramontano

Va bene. Siamo assuefatti da notizie di cronaca orrorifiche. Forse non ci facciamo nemmeno più caso: le scorriamo con il polpastrello sullo smartphone e passiamo alla successiva. A volte ci soffermiamo solo sul titolo: guerra, governo, PNRR, disastri naturali, femminicidi. Soprattutto per questi ultimi, su cui tanto è stato scritto (e io per prima), la notizia non fa più scalpore: abbiamo persino perso la capacità di indignarci di fronte a un fenomeno talmente capillare che ha saturato l’opinione pubblica tracimando nel campo dell’ordinaria amministrazione.

L’omicidio di Senago, però, riesce a scuotere il torpore del lettore distratto, per l’efferatezza e la dinamica. Ma soprattutto per le vittima, una ragazza giovane, 29 anni, bella, bellissima e, il suo bambino ormai prossimo alla nascita.

Di fronte a quella foto in spiaggia di profilo, con la mano sinistra che accarezza il pancione di sette mesi in cui riposa placido il suo bambino, ormai completamente formato, anche l’ultimo dei cinici non può non aver avuto un sussulto.

Come è possibile decidere di troncare la vita di una fidanzata che ti ha scoperto a tradirla con un’altra ragazza, mettendo incinta anche lei, ma, soprattutto, come è possibile uccidere anche il figlio che porta in grembo? Tuo figlio, per giunta.

Non ci sono parole per definire lo sdegno verso questo bastardo, sì, chiamiamolo con il suo nome. Come è possibile non avere nemmeno il coraggio di implorare il perdono divino, non farla finita a propria volta, non costituirsi istantaneamente in caserma, pensare di farla franca?

Il giovane compagno assassino è rientrato in casa dopo l’omicidio, ha tentato di costruirsi un alibi dai piedi d’argilla e si è pure preso gioco di tutti, compresi i genitori della vittima, legittimamente sgomenti, sporgendo denuncia di scomparsa il giorno dopo, dove ha raccontato che Giulia sarebbe uscita con il bancomat, il passaporto e 500 euro in contanti.

Panzane, subito franate nelle incongruenze di questo bugiardo cronico che prima va in vacanza a Ibiza con Giulia in stato interessante, e poi nega all’amante la convivenza con lei, arrivando a produrle un falso test del DNA in cui inventa che il bambino di Giulia sarebbe stato concepito da un altro uomo.

Menzogne su menzogne, a Giulia, all’amante collega di lavoro, illusa da un bellimbusto codardo che non è in grado nemmeno di ammettere la realtà dei fatti.

Una personalità maledetta che vive nel metaverso di un’esistenza improntata all’inganno dove non c’è amore, non c’è sentimento, non c’è emozione per la futura duplice paternità, non c’è riconoscenza per le donne che hanno stravolto la loro vita per essersi fidate di lui.

E quando le due vittime, Giulia e la collega del mostro, si sono incontrate per un chiarimento, il pavido non si è nemmeno presentato, continuando la sua recita, arrivando a impossessarsi del cellulare della compagna per scrivere all’amante di lasciarla in pace.

Basta, non andiamo oltre, perché i dettagli emergono ora dopo ora e aumentano la rabbia.

Nell’antica Roma veniva praticata una forma rituale di maledizione nota sotto il nome di defissione: consisteva nello scrivere su una lamina di piombo il nome della persona da maledire e la disgrazia che gli si voleva augurare. La lamina veniva poi arrotolata, chiusa con un chiodo e sotterrata.

Personalmente, se avessi sottomano una lamina di piombo non basterebbe lo spazio per augurare ogni male a questa persona.

O forse trascriverei la celebre citazione di William Shakespeare: “Tutte le infezioni che il sole succhia da paludi, acquitrini e stagni piombino su Prospero e lo trasformino, palmo dopo palmo, in una malattia vivente.”. Sostituendo il nome ‘Prospero’ con quello di questo stramaledetto assassino.

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