La scuola non fa emergere il talento

I voti non sono la cosa più importante, ma un votaccio fa sempre notizia, specie se a prenderlo è qualcuno che poi si è affermato, magari proprio nell’ambito culturale. E’ il caso di Dino Buzzati, nome noto della nostra letteratura contemporanea anche se mai letto e amato abbastanza, che in questi giorni è finito sui giornali non per il cinquantesimo anniversario della morte, o per una fiction che lo racconta, o per un’edizione critica della sua opera che abbia riscosso successo e lettura, ma perché è stata resa pubblica la sua pagella della maturità del 1924 da cui emergono valutazioni per nulla eccellenti, tra cui spicca uno striminzito 6 in italiano. Come dire che la scuola non è stata in grado nemmeno di capire che quel ragazzo lì sapesse scrivere, come poi ha dimostrato di saper fare, e bene, almeno a chi si è scomodato a leggerne qualche pagina, oltre a fare le pulci alla sua carriera scolastica.

Sono diversi i personaggi che, come Buzzati, hanno conseguito in età scolare risultati mediocri che hanno fatto notizia. Eugenio Montale, il più grande poeta italiano del Novecento, non ha frequentato nemmeno un liceo, preferendo diplomarsi in ragioneria, e anche in questo corso di studi tecnico ha dovuto ricorrere agli esami di settembre per passare l’anno in chimica.

Al di là della letteratura, il caso di Alcide De Gasperi è altrettanto interessante: padre della nostra Repubblica, fondatore della Democrazia Cristiana, otto volte presidente del consiglio e artefice della ricostruzione del dopoguerra, eppure una gran fatica in matematica alle superiori e la necessità di ricorrere a polsini fitti di formule algebriche e matematiche per affrontare la prova di maturità, che superò poi brillantemente nel 1900.

Queste sono solo tre storie che porterebbero a una conclusione affrettata e che invece, con maggiore attenzione, suggeriscono altro.

La conclusione che sorge lì per lì è che la scuola da sempre non ci azzecca nulla col talento, perché se Buzzati, Montale e De Gasperi non emergono, allora vale davvero il proverbio “ultimo a scuola, primo nella vita”. E’ una semplificazione, come lo è il giudizio sui percorsi di studio di questi tre uomini guardando qualche numero a decenni di distanza, e ogni riduzionismo va rifiutato.

Ciò che emerge invece è ben altro, vale a dire che in primo luogo la scuola non predice il futuro. I risultati scolastici sono indicatori e misurano impegno, attitudini e fatiche, ma sono sempre anche da inserire in contesti più ampi, perché per alcuni la scuola fornisce l’incontro con i maestri e con un sistema che calza a pennello con la propria intelligenza – come fu per Gabriele d’Annunzio, eccellente in ogni disciplina – per altri invece stanca, frustra, annoia, anche nonostante numeri e capacità. Non è sempre così – sarebbe un altro riduzionismo! – ma anche questo aspetto ambientale, soggettivo e per certi versi casuale va considerato.

In secondo luogo, la scuola non può essere l’unico ente erogatore di cultura tanto che, se non c’è lei, non c’è altro. E questo vale anche nel migliore degli scenari.

Dino Buzzati ha speso anni di vita al liceo, senza eccellere, ma ha coltivato se stesso oltre la scuola, grazie alla frequentazione della biblioteca di casa, grazie alla pratica musicale suonando pianoforte e violino, grazie all’amicizia letteraria con il suo compagno di banco Arturo con cui si è cimentato in moltissimi duelli letterari. Tutto questo ha fornito a Buzzati gli strumenti di analisi e di stile, la capacità di osservare con pienezza la realtà e la natura di cui è grande conoscitore. Eugenio Montale, nonostante studi tecnici, ha approfondito al di là della scuola tutto ciò che lo incuriosiva, dalle lezioni di canto a quelle di filosofia grazie alla sorella, tanto da divenire un artista della parola e della lingua italiana, un vero erede di Dante – un altro autore che non studiò regolarmente perché non poté permettersi i libri per l’università! – ma anche un genio del pensiero, dell’ironia, dello scavo psicologico e della lettura del proprio tempo.

La scuola dovrebbe essere lo strumento privilegiato per favorire l’avvicinamento alla proposta culturale, innanzitutto offrendo lezioni “esistenziali ed emozionali” che superino “l’uso medicinale della letteratura” come sostiene il saggista Roberto Carnero.

Quando la scuola non c’è, non ce la fa o non viene ricevuta come maestra e riferimento culturale, ecco bisogna andare oltre, senza rinunciare a ciò che rende l’uomo degno del suo ruolo nel mondo solo perché un’istituzione pubblica non ha fornito (tutti) gli strumenti necessari. Occorre studiare, indagare, accordare e disunire, grazie alla scuola – certo – ma se non bastasse, oltre la scuola.

Leggi su panorama.it