La Ferrari ha il dovere di provarci

1952. Settant’anni fa, Alberto Ascari vinse il gran premio d’Inghilterra e diede vita a una straordinaria cavalcata vincente in classifica, diventando il primo campione del mondo su una Ferrari.

L’ultimo campione del mondo ferrarista invece risale al 2007 ed è Kimi Raikkonen, iridato in Brasile dopo una battaglia all’ultimo punto con i due piloti della Mclaren, Fernando Alonso e Lewis Hamilton.

Da allora, e sono passati ben quattrodici anni, alla Ferrari è sempre mancato qualcosa: una volta la ferocia dei piloti, un’altra l’organizzazione interna per garantire stabilità e forza, un’altra ancora un progetto vincente, un’altra ancora qualche cavallo nel motore. Altre volte, come negli ultimi anni, è mancata totalmente la vettura, tanto che i tifosi ferraristi si sono ritrovati a sperare in un podio, o a scongiurare figuracce.

Quest’anno le cose sembrano andare diversamente: il pilota di punta, Charles Leclerc, pare nel momento migliore della sua carriera e non teme confronti con i rivali, la squadra guidata da Mattia Binotto ha puntato tutto sui nuovi regolamenti e ha progettato e costruito una monoposto veloce, talvolta velocissima, in grado di stare lì davanti.

Quando non succede qualcosa. Quando non si rompe qualcosa. Quando va tutto liscio.

Ma qualcosa in queste prime gare è successo, perché nonostante l’impressione che sia l’anno buono per le prestazioni cronometriche della macchina e la piena fiducia in Leclerc, la Ferrari ha vinto due gran premi su nove, peraltro due tra i primi tre della stagione. Mentre la Red Bull ha sbancato, vincendo gli altri sette.

Il team radio di Max Verstappen al termine del terzo gran premio, in Australia, in cui il campione del mondo annunciava che “sarebbero serviti quarantacinque gran premi per raggiungere la Ferrari” oggi è preistoria, perché la Ferrari, adagiata su premature certezze e sogni di gloria, non è riuscita più a vincere, tanto da essere rimontata e distanziata in classifica.

Ecco che serve reagire ora, seguendo il pensiero positivo di Leclerc che si dice fiducioso di recuperare tutti i 49 punti di ritardo in classifica.

Serve fare rossi i prossimi gran premi, quelli estivi, a cominciare dall’Inghilterra, da Silverstone, un luogo sacro per la Formula 1 e caro alla Ferrari, a settant’anni da quel successo che a fine anno portò al titolo.

Quante analogie con il 1952, settanta anni dopo. Il contesto, innanzitutto: un periodo storico poco definito, tra le macerie della guerra mondiale, i piani di ricostruzione e lo spettro della guerra fredda allora, tra venti di guerra e molteplici crisi spaventose che potrebbero intrecciarsi oggi. E poi ancora, l’Italia che cerca di farsi strada da piccola grande potenza con i suoi marchi prestigiosi e famosi nel mondo. Grandi marchi oggi, come quello Ferrari, e grandi uomini ieri, come Ferrari Enzo, il genio a capo di un’azienda che dall’Emilia avrebbe raggiunto l’eccellenza mondiale.

Il fatto sportivo, poi. Nel 1952 la Formula 1 disputava il terzo campionato del mondo, i regolamenti erano nuovi e le macchine un cantiere permanente. Oggi c’è qualcosa di simile, con la nuova era normativa che ha stravolto gli equilibri, facendo terminare il dominio Mercedes e riaprendo la strada del successo a chi, come la Ferrari, ha lavorato un inverno in silenzio per dare forma a un sogno. Un sogno che ora deve riprendere forma vincendo in Inghilterra, come è stata spesso in grado di fare, seguendo il mito di Alberto Ascari che trionfò a Silverstone prima e in campionato poi. Il primo di due, perché Ascari bissò il trionfo l’anno seguente. Un augurio all’alfiere Ferrari Leclerc, dunque, perché arrivando al circuito si senta ultimo tassello di una storia che racchiude mito, epica e successi.

Serve reagire ora, quindi, perché la Ferrari è la Ferrari e non può mai accontentarsi di una buona stagione, anche se le precedenti sono state mediocri. Serve reagire ora, per dare corpo a investimenti ingentissimi dal punto di vista tecnico, economico, ma anche emotivo. Serve reagire ora, oppure questo campionato sarà un rimpianto bruciante. Forza Charles, ora tocca a te.

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