Juve, c’è da stare poco Allegri

La Juventus presa a pallate dal Chelsea, con tante riserve soprattutto davanti dove mancavano i big assoluti di Tuchel, è piaciuta solo a Massimiliano Allegri. L’unico che, incassata la sconfitta, ha spiegato di aver visto una buona Juve almeno nel primo tempo, prima che il dominio dei Blues si trasformasse in grandinata di gol. Non è così e il rischio è non cogliere fino in fondo la lezione di Stamford Bridge da cui i bianconeri sono usciti ridimensionati nel loro status di squadra europea.

Troppa differenza con i ragazzi del Chelsea, sia fisicamente che sul piano della qualità tecnica. Il parametro sono Cuadrado e Chiesa, due frecce che in Italia aiutano Allegri a mettere in soggezione l’avversario di turno con i loro strappi e che a Londra sono stati contenuti senza fatica dai rispettivi oppositori. Per non parlare di un centrocampo sghembo in cui si fatica a vedere un barlume di classe: Arthur impalpabile, Rabiot troppo lento, Bentancur onesto interditore e Locatelli che fatica a prendere in mano la situazione pur essendo il meno colpevole perché è precipitato nella Juventus peggiore degli ultimi trent’anni come qualità complessiva degli interpreti in quel settore del campo.

Detto che Morata ha numeri da seconda punta quando dovrebbe essere l’attaccante di riferimento, McKennie funziona a intermittenza nel suo disordine tattico e Dybala è stato eletto leader (con rinnovo extralusso in arrivo), ma è spesso assente, ecco che il quadro che si compone è quello di un progetto sportivo in cui gli errori degli ultimi anni si sommano e il risultato è che i 12 punti conquistati fin qui in Champions League, più che la fotografia del valore della Juventus a livello europeo, sono una specie di miracolo sportivo.

E le colpe di Allegri? Ci sono anche quelle. Ovvio. E quella frase sulla soddisfazione per quanto mostrato in un primo tempo in cui la sua squadra era già finita ampiamente sott’acqua, salvata da Szczesny e da un paio di intuizioni di Bonucci in fase difensiva, preoccupa perché come in ogni malattia il primo passo per guarire è fare una diagnosi corretta. La Juventus di Londra, al netto del divario a tratti imbarazzante, è stata così passiva dal primo all’ultimo minuto da evocare le peggiori interpretazioni del calcio provinciale.

Il ‘corto muso’ e il pragmatismo che tanto piacciono al tecnico, richiamato a furor di popolo per riportare il club al passato, non possono diventare l’unica cifra a disposizione. In Europa ci si espone a figuracce, in Italia si resta in linea di galleggiamento ma poi si disperdono patrimoni di punti contro avversarie che sfidano gli ex campioni utilizzando lo stesso parametro tattico. Con in più una freschezza che non appartiene da tempo alla Juventus.

C’è da mettere mano a un nuovo piano tattico e tecnico, investire su quelli che possono dare qualcosa in prospettiva, sciogliere i nodi contrattuali (De Ligt sarà o no il futuro? Dybala vale 10 milioni a stagione? Per Morata si possono spendere 35 milioni a giugno?) e fare tabula rasa di chi non ha più nulla da dare: Alex Sandro, Rabiot, Ramsey per citare tre nomi, ma non sono gli unici. Allegri, che ora ha in mano la Juventus da oltre cento giorni, deve liberare le energie di Chiesa uscendo dal dilemma sul suo ruolo. Insomma, deve cominciare a lasciare un segno su una squadra costruita malissimo (non per colpa sua), ma che non può rassegnarsi alla navigazione a vista di questi mesi. Così non si va da nessuna parte, non in Italia e tantomeno in Europa.

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