Joyland, il film pakistano agli Oscar tra blocco e censure

(ANSA) – ROMA, 06 DIC – Sta avendo un percorso decisamente
avventuroso Joyland, il dramma famigliare di Saim Sadiq,
vincitore del premio della Giuria nella sezione Un Certain
Regard al Festival di Cannes e designato dal Pakistan per la
corsa all’Oscar come miglior film internazionale. A pochi giorni
dal debutto nelle sale pakistane, previsto a metà novembre, il
film, che aveva causato le proteste di alcuni gruppi
fondamentalisti, secondo i quali sarebbe anti islamico, è stato
bloccato. Una decisione subito contestata da altre parti
dell’opinione pubblica, sulla quale il governo ha fatto in parte
marcia indietro, un paio di giorni dopo, autorizzando l’uscita
di Joyland (che ha fra i produttori esecutivi la premio Nobel
Malala Yousafzai), ma solo dopo alcuni tagli. A causare polemiche è la storia, ambientata a Lahore e
incentrata su Haider (Ali Junejo), che insieme alla moglie vive
con la famiglia patriarcale del fratello. In una casa dove si è
costantemente sotto lo sguardo degli altri, ad Haider viene
chiesto di trovare un lavoro e diventare papà. Il giovane uomo
viene assunto in un cabaret specializzato in danza erotica come
stage manager, ma qui la sua vita cambia quando si innamora di
Biba (Alina Khan), ballerina transgender. “Quello del film è stato un percorso pieno di eventi – spiega
Saim Sadiq, qui al debutto in un lungometraggio, negli incontri
in streaming di Deadline Contenders dedicati ai titoli in lizza
come miglior film internazionale -. Ho imparato molto, non
pensavo che tante persone potessero stringere un legame così
personale con il mio film”. L’intento di Sadiq non era essere
provocatorio, ma “parlare di patriarcato, gender e sessualità
relazionate a ciò che conosco, alla mia città”. Rispetto al
blocco e alla richiesta di tagli “è stato un periodo folle –
commenta -. E’ l’incubo di ogni regista non sapere fino
all’ultimo se il film potrà uscire o verrà di nuovo bloccato.
    Per ora siamo riusciti ad avere una mezza vittoria, con il
ritiro del blocco; non è una vittoria totale, perché ogni
artista vorrebbe che il proprio film venisse presentato al
pubblico nel modo in cui l’ha realizzato”. (ANSA).
   

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