venerdì, 29 Settembre 2023
Isabelle Huppert: «Difendo le donne vittime a cui nessuno crede»
L’attrice francese racconta a Panorama il suo ultimo film: La verità secondo Maureen K. La storia vera di una sindacalista che, per essersi opposta a macchinazioni di potere, viene picchiata e violentata. Ma l’opinione pubblica non le dà credito. E da accusatrice diventa accusata. «È la parafrasi della donna di oggi, che deve combattere per non soccombere» dice.
La prima volta che, anni fa, chi scrive incontrò Isabelle Huppert, l’attrice fumava (adesso non si può più, né sullo schermo né alle interviste) e rispondeva a monosillabi: sì, no, non so. L’aria annoiata di chi sa di essere una diva e non ha bisogno dei giornalisti: un vero incubo per il cronista. Huppert, che ha appena compiuto 70 anni e ha dato il volto a ruoli indimenticabili di donne gelide (parlandole sembrano assomigliarle un po’…) in film come Il buio nella mente di Claude Chabrol o La pianista di Michael Haneke, sembra essersi ammorbidita e risponde alle domande con maggior generosità. «Però confesso che faccio un po’ di fatica a parlare in inglese: è una lingua che conosco, ho usato per recitare, ma che mi richiede un gran dispendio di energia che a volte non ho», precisa quando Panorama la incontra per parlare del suo nuovo film, La verità secondo Maureen K., in uscita al cinema il 21 settembre dopo il passaggio alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il thriller di Jean-Paul Salomé racconta la vera storia di Maureen Kearney (Huppert), agguerrita sindacalista nella multinazionale francese Areva, specializzata in energia nucleare. Quando qualcuno rivela alla donna che l’amministratore delegato Luc Oursel (Yvan Attal) è in combutta con il dirigente di un altro colosso dell’energia nazionale per stringere un’alleanza segreta con un gruppo cinese per costruire centrali nucleari a basso costo nella Repubblica popolare, violando le norme statali, Maureen è determinata a mettere in guardia le autorità. Ma mentre i politici traccheggiano, Maureen viene minacciata e poi un giorno aggredita da uno sconosciuto che la incappuccia, incide con un coltello una lettera sul suo addome e la sevizia. Nonostante il caso venga riportato dalla stampa, gli investigatori iniziano però a convincersi che Maureen possa essersi inventata tutto. «Il caso risale al 2012, ma io non ne serbavo memoria e a quanto pare era stato dimenticato dall’opinione pubblica, nonostante poi sia stato raccontato nel 2019 in un libro scritto dalla giornalista Caroline Michel-Aguirre, che ha ispirato il film», spiega Huppert.
Cosa l’ha convinta a incarnare Maureen?
Avevo avuto una bellissima esperienza lavorando a La padrina col regista Jean-Paul Salomé, che mi aveva detto di voler trovare un’altra storia per tornare a collaborare. Quando ho letto il libro ho pensato che si trattasse di una storia unica, interessante non soltanto dal punto di vista politico, ma anche drammaturgico perché Maureen ha dovuto combattere per essere creduta. E dopo aver subito l’aggressione ha dovuto affrontare l’oltraggio di essere trasformata da vittima in accusata. Mi è anche venuto in mente che somigliava proprio al personaggio de La padrina, perché entrambe sono donne costrette in un certo senso a camuffarsi per affrontare una situazione più grande di loro.
In qualche modo c’è un collegamento con il film Elle di Paul Verhoeven: anche lì c’è una donna aggredita brutalmente che si rivela agli altri come una figura ambigua.
L’ho pensato anch’io: anche Michèle, la protagonista di Elle, non si comporta come la brava vittima, non manifesta le emozioni che tutti si aspettano dopo una violenza sessuale. Io penso che lei e Maureen tentino di resistere all’idea che quegli eventi drammatici abbiano cambiato per sempre la loro vita. E perciò risultano ambigue. E se il cinema ci affascina è soprattutto perché lavora magnificamente con l’ambiguità.
Crede che le donne nella società di oggi facciano più fatica a essere credute?
Non so se voglio dare una risposta netta su questo, ma certamente il fatto che Maureen non venga creduta a proposito dello stupro o il fatto che venga umiliata, anche attraverso l’indagine condotta sul suo corpo, è una situazione abbastanza classica, che dipende dal fatto di essere una donna. È pur vero però che nella realtà accadono anche storie al contrario: c’è stato di recente il caso di un uomo accusato di avere violentato una ragazza, scagionato dopo diversi anni di galera quando lei ha ammesso di essersi inventata tutto. Quindi la realtà non è mai bianca o nera, e ci sono sempre eccezioni alle regole che crediamo di avere trovato per descrivere la società.
Lei ha parlato con Maureen prima di interpretarla?
No, anche se è venuta qualche volta sul set, senza metterci però troppa pressione. Ho lavorato di fantasia per incarnarla, ma con Jean-Paul abbiamo deciso di partire soprattutto dall’idea di ricalcare il suo aspetto fisico. Per questo ho cercato di assomigliarle il più possibile, con i capelli biondi, lo chignon, gli occhiali, i gioielli e il suo abbigliamento un po’ esagerato.
Nel film Maureen appare anche come una donna in qualche modo buffa.
Sono felice che si sia notato, perché penso che tutti i miei personaggi abbiano qualcosa di buffo e lo considero il mio tocco personale. Lo faccio involontariamente, ma c’è sempre un certo distacco ironico in tutte le parti che affronto. Persino nella performance più drammatica. Fin dalla tragedia greca si trova il dramma in ogni situazione, e mettere personaggi in situazioni drammatiche è ciò che rende la finzione interessante. Forse per questo io in carriera ho avuto a che fare più con l’esplorazione della violenza che con la felicità.
Che effetto le fa interpretare questi ruoli così dark?
Mi sento molto a mio agio perché è davvero eccitante incarnare queste donne con un lato oscuro o protagoniste di storie a tinte forti. Penso che mi sentirei meno a mio agio in ruoli magari apparentemente più tranquilli.
Il suo primo film risale al 1972. Dopo cinquant’anni di carriera cosa le piace ancora del mestiere d’attrice? Ed è cambiato nel tempo o tutto è rimasto immutato rispetto agli inizi?
Per me il piacere di recitare sta, oggi come allora, nella ripetizione. Di solito le persone pensano che per essere interessante il lavoro di attore debba portarti a interpretare personaggi sempre molto diversi l’uno dall’altro, ma a me quello che attira è l’esatto opposto: la ripetizione dei gesti, incontrare vecchi amici sul set, quasi come fosse un rituale che credo non mi stancherà mai.