Il ritorno, potente, di Al Qaeda

Il 25 maggio 2022 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Onu) ha confermato in un rapporto la rinascita di al-Qaeda, l’organizzazione terroristica responsabile degli attacchi dell’11 settembre 2001. Il gruppo jihadista da sempre legato ai Talebani sta usando il loro ritorno al potere avvenuto grazie allo scriteriato ritiro degli occidentali dall’Afghanistan, «per trovare un rifugio sicuro, attrarre nuove reclute e aumentare la raccolta dei fondi necessari alla jihad globale». Il leader di al-Qaeda, l’egiziano Ayman al-Zawahiri, più volte dato per morto, che è succeduto a Osama bin Laden nel 2011, e altri membri chiave della leadership del gruppo «vivono stabilmente nell’Afghanistan orientale come ospiti dei Talebani», osserva il rapporto del Consiglio di sicurezza dell’Onu. È la prima volta che questo fatto viene accertato ufficialmente.

Nel documento si afferma che Ayman Al-Zawahiri sta producendo un gran numero di video di propaganda, «apparentemente sicuro di poter guidare al-Qaeda in modo ancora più efficace di quanto fosse possibile prima del ritiro degli Stati Uniti dell’agosto scorso». Tra coloro che stanno pagando il prezzo più alto dopo il ritorno dei Talebani a Kabul, oltre alla popolazione afghana vessata ogni giorno, c’è il Pakistan che dopo aver giocato per anni su più tavoli e sempre in maniera ambigua in materia di terrorismo, oggi si ritrova a dover combattere contro i Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) affiliati ad al-Qaeda che mirano a far cadere il governo di Islamabad. Nel rapporto l’Onu afferma che il TTP può contare fino a 4.000 combattenti armati con base nella regione di confine tra Afghanistan e Pakistan e che «il gruppo è concentrato su una campagna a lungo termine contro lo Stato pachistano, e si ritiene che gli accordi di cessate il fuoco hanno poche possibilità di successo». E perché? Gli apparenti tentativi di mediazione sono in mano a Sirajuddin Haqqani, ministro degli Interni del governo talebano, terrorista sanzionato dagli Usa, trafficante di droga e membro dell’organizzazione Haqqani Network. Il TTP, il ramo pakistano dei talebani, ha ripetutamente attaccato il Pakistan dai suoi nuovi porti sicuri nell’Afghanistan orientale dall’agosto 2021, attirando attacchi aerei dall’esercito pakistano e spingendo Sirajuddin Haqqani a riprendere il suo finto ruolo di mediatore nei colloqui di pace tra le parti. Chi non si sorprende di quanto scritto nel report dell’ONU è Franco Iacch analista strategico «Talebani ed al Qaeda rimangono strettamente allineati in un rapporto divenuto sempre più saldo attraverso legami generazionali. Al Qaeda, mai sconfitta in Afghanistan, ha avuto un ruolo chiave nel successo dei talebani. Al-Zawahiri, leader di al Qaeda, ha rapidamente inquadrato l’acquisizione talebana come un trionfo per l’organizzazione terroristica. Quest’ultima rappresenta una organica ed essenziale forza per i talebani. Al Qaeda rimane un’organizzazione coerente anche se non perfettamente centralizzata. La leadership di al Qaeda continua ad essere essenziale nel determinare sia la traiettoria dell’organizzazione che la sua direzione strategica. Gli affiliati continuano ad aderire agli obiettivi ed alle strategie delineate dalla leadership dell’organizzazione. Allo stesso tempo, il modello organizzativo flessibile di al Qaeda consente agli affiliati di adattare le loro tattiche alle dinamiche locali. Questo principio organizzativo rimane operativo oggi. Adottando questo principio, al Qaeda è stata in grado di mantenere la coerenza organizzativa e strategica anche di fronte a considerevoli sfide interne ed esterne».

Dopo la morte di Osama bin Laden avvenuta nel 2011 e le numerose uccisioni degli alti esponenti del gruppo avvenute nelle regioni di confine tra Afghanistan e Pakistan dove volano i droni della Cia, al-Qaeda ha scelto la tattica dell’attacco indiretto perchè la sua vera forza sta nella capacità di attrarre e influenzare i suoi affiliati. Gli avvertimenti sulla collusione dei talebani con i principali gruppi jihadisti è arrivato dopo l’incontro avvenuto la settimana scorsa a Dushanbe capitale del Tagikistan tra India, Cina, Russia, Pakistan, Iran, Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan. Tutti i convenuti «hanno espresso la loro preoccupazione per i Talebani che consentono lo sviluppo del terrorismo e hanno chiesto di includere le donne e rappresentare la diversità etnica e religiosa in un governo inclusivo». Per la Russia era presente il potentissimo Segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Nikolaj Patrušev segno che la questione per il Cremlino è molto, molto seria. Anche l’Iran ha paura tanto che il segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano, Ali Shamkhani , ha chiesto un nuovo meeting regionale sull’antiterrorismo dopo che l’intelligence di Teheran al pari di quella di Mosca «ha raccolto prove allarmanti della presenza e del coinvolgimento di alcuni Paesi regionali ed extraregionali nel trasferimento di terroristi in Afghanistan». Ma a quel tavolo si è parlato anche della minaccia rappresentata dall’Isis Khorasan che ogni giorno mostra come i Talebani non siano in grado non solo di installare un’amministrazione funzionante, ma anche di occuparsi della sicurezza dell’Afghanistan. Il report dell’Onu e la riunione di Dushanbe certificano che con lo sciagurato ritiro degli occidentali dall’Afghanistan i Talebani hanno nuovamente trasformato il Paese in una sorta di buco nero in cui i gruppi jihadisti globali e trafficanti di droga possono prosperare. A proposito delle due principali organizzazioni terroristische islamiche globali è interessante analizzare come il comando centrale delle organizzazioni terroristiche come al Qaeda e lo Stato islamico delinea i parametri della narrativa generale entro cui muoversi liberamente. Secondo Franco Iacch

«Le diverse ramificazioni, cioè l’espressione dello Stato islamico o di al Qaeda su uno specifico territorio, adeguano la narrativa principale del comando centrale al contesto specifico. Ad esempio: la narrativa dello Stato islamico, comando centrale, ha già ben delineato il ruolo dell’attuale generazione, destinata a non poter assistere al compimento delle profezie di epoca abbaside riguardanti la fine del mondo. Le ramificazioni, invece, si concentrano in prevalenza sul reclutamento, la propaganda regionale e l’indottrinamento. Alle ramificazioni ufficiali dobbiamo poi considerare il lavoro dei sostenitori. Lo Stato islamico in Afghanistan ricalca il precedente playbook dei talebani e della stessa al Qaeda, cercando di sfruttare l’ideologia simile e le condizioni locali, come l’instabilità, i conflitti politici e settari. Fattori che determinano un ambiente permissivo alla radicalizzazione. L’ISIS-K invece, continuerà ad enfatizzare le percezioni dell’ingiustizia condivise da ampi strati della popolazione, in particolare quelli delle regioni emarginate e delle periferie urbane povere che più spesso incontrano la brutalità dello stato (oggi rappresentato dai talebani), la corruzione e l’esclusione sociale. L’influenza dei jihadisti è più un prodotto dell’instabilità che il suo motore principale. I militanti di ISIS-K includono molti ex membri dei talebani che erano attratti dalle ambizioni globali dello Stato Islamico, così come molti pakistani associati ai “talebani pakistani».

Ma il peggio per noi deve ancora arrivare perché questi gruppi stanno solo aspettando che i Talebani siano riconosciuti dalla comunità internazionale come un Governo legittimo in modo che possano continuare a combattere le proprie guerre magari con le armi che compreranno dopo la guerra in Ucraina, e con il sostegno ideologico e operativo di al-Qaeda.

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