Il meglio di Ridley Scott nei suoi 5 film più iconici

Ridley Scott compie 85 anni. Lo fa in splendida forma, dopo aver proposto al pubblico per decenni un concentrato di grandezza cinematografica semplicemente incredibile, aver affrontato quasi ogni genere, sorprendendo sempre, prendendosi sovente diversi rischi.

Per quanto a volte sia andato incontro a dei passi falsi, è inutile negare che il regista inglese sia stato capace di cambiare la storia del cinema, di segnare con la sua visione un punto di rottura assoluto, rivendicando uno stile narrativo unico, riconoscibile eppure mai ripetitivo, mai monotono.

In occasione del suo compleanno, identificare quali siano stati i suoi 5 migliori film non è impresa affatto facile, perché significa mettere da parte anche il gusto personale, escludere alcune pellicole che hanno fatto senza ombra di dubbio breccia nel cuore del grande pubblico, a favore di altre. Oppure al contrario decidere tra opere di pari livello quale sia maggiormente meritevole artisticamente. Quel che è certo è che invecchiare artisticamente come sta facendo lui è un privilegio riservato a pochi, ammesso che poi di invecchiare si possa veramente parlare.

I Duellanti (1977)

Partiamo dall’inizio, da quella che probabilmente è la migliore opera prima della cinematografia moderna, un affresco storico unico per energia viscerale, coerenza, grandezza visiva e capacità di trasportarci in un altro tempo, in un’altra epoca.

Con I Duellanti, Ridley Scott propose per la prima volta quella visione storica connessa a Friedrich Nietzsche che sarebbe poi diventata un cardine del suo cinema. Lo fece debuttando con una storia di rivalità senza fine tra due ufficiali della grande armata di Napoleone, due cavalleggeri divisi da tutto ed uniti solamente dall’odio e dall’essere sballottati nel mare agitato della storia.

Harvey Keitel era Gabriel Feraud, feroce, valoroso e vendicativo ussaro, che non perdonava il pari grado Armand d’Hubert (Keith Carradine) di averlo messo in imbarazzo di fronte ad una nobildonna di cui era invaghito, recandogli un ordine di arresto per il ferimento del nipote del sindaco di Strasburgo in duello.

Da quel gesto, Scott trae spunto per una serie di confronti, scontri con sostanzialmente con ogni tipo di arma permessa d’epoca, in cui mette in scena l’evoluzione della società europea di quegli anni. Cesella di fronte a noi il confronto tra la borghesia rozza, determinata e implacabilmente votata alla conquista, e una nobiltà decadente, elegante ma destinata nonostante tutto alla scomparsa.

Meraviglioso dal punto di vista visivo, con profonde connessioni alla pittura dell’epoca, I Duellanti è uno dei migliori film storici di tutti i tempi, per una fedeltà che va dai dialoghi ai costumi agli stessi duelli, fino a ricreare totalmente lo spirito di un’epoca. Diretto con una mano straordinaria, è anche connesso ad uno sguardo freddo, analitico, privo di ogni retorica ed ogni volontà di imbellettare l’esistenza umana.

Alien (1979)

Davvero è possibile sintetizzare l’importanza e la legacy di quello che forse è il film di fantascienza più rivoluzionario di sempre? Proviamoci. Alien, nel 1979, atterrisce il mondo. Lo fa mostrandoci lo spazio, il concetto di extraterrestre, come mai era successo prima, in virtù di un incrociarsi fortuito, ma potentissimo, del percorso artistico diretto o indiretto, oltre che di Ridley Scott, anche di geni artistici come Dan O’Bannon, John Carpenter, Ronald Shusett, Alejandro Jorodowsky, H.R. Giger e Moebius.

Prendo spunto da Terrore nello Spazio del grande Mario bava, Ridley Scott diresse quello che, più che un horror sci-fi, era forse la più incredibile metafora mai affrontata prima dal genere, portando sul grande schermo, dentro quella nave assediata da quella mostruosa creatura parassitaria, il microcosmo dell’America degli anni ‘70, classista, razzista e soprattutto sessista.

Sigourney Weaver, con il suo Tenente Ripley, soprattutto per questo è ancora oggi probabilmente l’eroina femminile più importante della storia del cinema. Lo diventò mentre cercava di sopravvivere ad una metafora grandiosa e terrificante della violenza sessuale e, allo stesso tempo, della volontà vendicatrice femminile che affondava le sue origini nella mitologia greca e mediorientale.

Ancora oggi è molto difficile calcolare quale sia stato l’impatto di Alien nella storia del cinema ed è anche forse lecito chiedersi se indirettamente tale impatto sia stato anche in un certo senso limitativo o negativo.

Ma quel che è certo, è che Ridley Scott ha rinnovato completamente la nostra visione del futuro, è riuscito a fare ciò che altri registi, con lo stesso soggetto in mano, non avrebbero saputo fare: andare oltre la mera narrativa per creare un insieme semantico e semiotico di incredibile potenza.

Thelma & Louise (1991)

Più che un film sugli inizi degli anni ‘90, Thelma & Louise è un film sulla fine degli anni ‘80 e tutto ciò che di negativo, di opprimente e terribile avevano significato per la figura femminile, per le donne in generale, costrette dalla revanche conservatrice a tornare dentro i binari di una rappresentazione plastica, carnale, privata della propria volontà in una funzione totalmente fallocentrica.

Di quel decennio che segnò una battuta d’arresto terribile per il femminismo, Ridley Scott, nel 1991, grazie all’immenso talento di Susan Sarandon e Geena Davis, in quegli stati del sud dove ancora oggi sopravvive una legge della violenza molto maschile e retrò, crea una specie di mix tra un road movie, un western e un dramma personale ed intimo di straziante bellezza.

Con ogni probabilità, quando si parla di questo film, si parla della pellicola più radicalmente femminista mai fatta nei tempi moderni, capace di diventare una perfetta sintesi di tutto quello che non andava non solo nella società americana, ma nella società occidentale in generale. Scott ne mostra la mancanza di empatia, l’incapacità o l’impossibilità per tantissime donne di abbracciare un’autodeterminazione della vita e dei sentimenti che abbia realmente un senso. A 31 anni di distanza, Thelma & Louise rimane come un dito puntato contro la nostra coscienza, contro l’universo maschile in generale e la sua incapacità di mettersi in discussione. Non è un caso che nel 2016 sia stato scelto per la conservazione nel registro cinematografico della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, per la sua essenza di cinema civile capace di ammaliare per una perfezione formale indiscutibile e che ha aperto la strada ad un nuovo modo di concepire la donna sul grande e piccolo schermo.

Il Gladiatore (1999)

Solamente Ridley Scott poteva riportare in vita il Peplum, sottogenere del kolossal storico, e farlo con un successo che ancora oggi è fisso nella memoria di tutti, con una delle pellicole più potenti, epiche e travolgenti di sempre. Russell Crowe, distante dall’essenza di sex symbol hollywoodiano, fu Massimo Decimo Meridio, figura fittizia di generale romano travolto dagli eventi nel II secolo d.C., costretto a fare i conti con l’odio scellerato dello sciagurato Commodo (Joaquin Phoenix), patricida dell’illuminato e saggio Imperatore Marco Aurelio (Richard Harris).

Dopo un incipit in cui Scott onora contemporaneamente Sergio Leone e Akira Kurosawa, ci viene offerto un racconto che, più che un film storico, come molti pensarono e trovarono quindi imperfetto data l’incredibile quantità di licenze che il regista si era preso, è un film sulla Storia, intesa come un’eterna contrapposizione tra caos e ordine, azione e passività.

Fedelissimo come sempre alla visione della storia di Nietzsche, Scott continua ad insistere con la volontà dei singoli eccezionali che plasmano il mondo e chi lo abita, nel bene e nel male. Lo fa omaggiando Roma non come rullo compressore di spade e scudi, ma come prototipo nel bene e nel male della civiltà moderna. Al di là di sequenze di battaglia diventate leggendarie, di una colonna sonora di Hans Zimmer e Lisa Gerrard tra le più amate di tutti i tempi, Il Gladiatore rimane un grandissimo omaggio alla narrazione classica di Hollywood, pur rinnovandola dall’interno. Lo fa elevandosi a perfetto esempio di cinema di intrattenimento autoriale, trasversale nella sua eloquenza ma incredibilmente personale nella sua essenza, con metafore visive e dialoghi di incredibile fascino.

Blade Runner (1982)

Impossibile non chiudere questa top 5 con quello che forse è il suo film più amato dai cinefili, di certo uno dei titoli del genere fantascientifico più rispettati, considerati, idolatrati e naturalmente influenti.

Traendo spunto (per quanto forse solo superficialmente) da un racconto del grande Philip K. Dick, nel 1982 Ridley Scott fu capace di cucire, avvalendosi della straordinaria abilità degli effetti speciali del rimpianto Douglas Trumbull, un mix perfetto tra diversi generi cinematografici, che guidò verso la creazione di una nuova creatura, un nuovo modo di intendere il futuro, totalmente diverso da ciò che c’era stato in precedenza. Harrison Ford non amò particolarmente partecipare a questo film, data in fondo la scarsa autonomia e ambiguità morale del suo protagonista, Rick Deckard.

Eppure, in questo segugio malinconico e straziato, il regista concentrò tutto ciò che erano stati i grandi protagonisti del genere hard boiled e del noir di varia natura e origine, i personaggi interpretati da sua maestà Humphrey Bogart. Con una colonna sonora di Vangelis da spezzare il cuore e un Rutger Hauer in stato di grazia, Blade Runner rimane forse il più particolare e originale dei suoi film.

Questo per il rovesciamento totale di una visione manichea del racconto classico, che vede infine il protagonista in realtà come il vero villain, sulle tracce di replicanti che sono disgraziate creature che cercano semplicemente la propria libertà. Post-moderno nel senso più puro del termine, visionario ed assieme realista nel guardare ad un futuro multiculturale, classista e ingiusto, Blade Runner, come il precedente Alien, ha cambiato completamente questo genere. Soprattutto ha portato una visione più intimista, personale ed emotiva all’interno del genere fantascientifico, contribuendo alla nascita del genere cyberpunk. Di base parliamo del padre di gran parte della cinematografia sci-fi moderna nella sua accezione più nobile, capace di abbracciare filosofia e critica sociale.

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