Il baratto dei vaccini

Petrolio in cambio di vaccini. Questa la proposta del dittatore venezuelano Nicolás Maduro alla comunità internazionale. “Il Venezuela ha le petroliere, ha clienti pronti a pagare per il nostro petrolio, ed è disposto a dedicare una parte della sua produzione per garantire tutti i vaccini di cui il Venezuela ha bisogno. Petrolio in cambio di vaccini, siamo pronti e preparati”, ha detto Maduro intervenendo domenica scorsa alla tv di Stato Corporación Venezolana de Televisión aggiungendo: “Il Venezuela sta adottando misure legali e giudiziarie per liberare fondi congelati nei conti pubblici all’estero, per pagare i vaccini nell’ambito del meccanismo internazionale COVAX (acronimo di COVID-19 Vaccines Global Access, un programma internazionale delll’OMS che ha come obiettivo l’accesso equo ai vaccini anti COVID-19 n.d.r.). Ma non supplicheremo nessuno. Il Venezuela non si inginocchierà davanti a nessuno al mondo. Abbiamo dignità e risorse per risolvere i nostri problemi”.

E di problemi il Venezuela ne ha tanti. Il sistema sanitario è a pezzi, le esportazioni di greggio sono precipitate ai livelli più bassi degli ultimi decenni da quando Washington ha sanzionato la compagnia petrolifera statale Petroleos de Venezuela nel 2019, tagliando le esportazioni di Caracas verso gli Stati Uniti e dissuadendo molti altri clienti dall’acquistare petrolio venezuelano; inoltre, un mostro inflattivo sta mangiando l’economia dal 2017.

Per ora Caracas ha ricevuto dosi di vaccino dagli alleati Russia e Cina, ma sono state meno di un milione, e altre 50.000 dosi del vaccino Sputnik V russo sono arrivate nel Paese sudamericano lunedì, come hanno mostrato le riprese della televisione di Stato. Dosi insufficienti.

Il governo e l’opposizione erano in trattativa con l’Organizzazione Panamericana della Sanità per l’accesso del Venezuela ai vaccini attraverso COVAX, però la scorsa settimana Maduro ha rinunciato: no al vaccino, perché è di AstraZeneca -una delle principali vaccinazioni dispiegate da COVAX in America latina- perché non avrebbe mai permesso “l’arrivo nel Paese di un farmaco che sta causando disastri nel mondo”.

Ucronico ascoltare queste parole uscite dalla bocca della stessa persona che fino ad oggi ha vaneggiato soluzioni (dispositivi a “onde quadratiche”, miscele di erbe, limone, clorochina, interferone alfa 2b, ozono terapia, gocce omeopatiche…) per combattere il virus progettato “dal potere imperiale come arma bio-terroristica creata per condurre una guerra batteriologica contro la Cina e il popolo”(e fu così che giorni fa Facebook gli cancellò il profilo per aver ripetutamente violato le proprie policy contro la disinformazione sul coronavirus e aver diffuso fake news su presunti rimedi contro il COVID-19).

A Maduro preoccupa mantenere in piedi il suo regime più che mantenere in salute i propri connazionali (ad oggi si contano 158.000 contagi e più di 1500 morti –stando ai dati di Caracas), e il rifiuto di accedere ai vaccini AstraZeneca è stata una mera mossa per silurare l’accordo con Covax ed evitare così di consegnare una vittoria politica all’opposizione venezuelana, riconosciuta da Washington e da altre democrazie occidentali come il governo legittimo del Paese, che da inizio marzo sta lavorando per scongelare i fondi della compagnia petrolifera nazionale per comprare i vaccini.

Non solo in Venezuela. Vaccini in cambio di…

Il Venezuela non è l’unico Paese dove i vaccini hanno un valore più alto del petrolio. I vaccini sono oramai nuove feluche e moneta di scambio per diverse nazioni.

Lo scorso febbraio, Israele ha pagato alla Russia milioni di dollari per i vaccini contro il coronavirus, destinati alla Siria, come parte dell’accordo di scambio di prigionieri tra i due Paesi mediorientali. La Siria ha ottenuto il rilascio di due prigionieri drusi e di due pastori detenuti da Israele. Mentre Gerusalemme è riuscito a liberare una donna israeliana entrata illegalmente in Siria e detenuta dalle autorità locali. Alcuni parlamentari israeliani avevano proposto di usare i vaccini anche come merce di scambio per il rilascio dei prigionieri detenuti dal gruppo terrorista Hamas nella la Striscia di Gaza ma Netanyahu –almeno pubblicamente- non ha accettato per non indispettire i partiti alleati in vista delle elezioni svoltesi pochi giorni fa. Il governo Netanyahu ha comunque usato la carta diplomatica dei vaccini per distribuire i lotti in eccesso al personale medico palestinese in Cisgiordania ma anche ad “alcuni dei Paesi che si sono avvicinati a Israele”. Tra i beneficiari ci sarebbero Honduras e Guatemala, che hanno spostato le loro ambasciate a Gerusalemme. Insieme ci sarebbe anche la Repubblica Ceca, dopo l’annuncio della volontà di aprire un ufficio diplomatico sempre nella capitale israeliana.

Le Filippine avevano invece offerto personale sanitario in cambio di vaccini. Il governo di Manila aveva infatti proposto che migliaia dei suoi operatori sanitari, per lo più infermieri, lavorassero in Gran Bretagna e Germania se i due Paesi avessero accettato di donare i vaccini contro il coronavirus. Cosa che non è avvenuta. Le due nazioni europee hanno rifiutato. Ma chiusa una porta, Pechino ha aperto un portone: ha offerto milioni di dose di vaccino in cambio dello spazio marittimo nelle acque territoriali di Manila, sostiene il giudice filippino in pensione Antonio Carpio, commentando la scorsa settimana la presenza di 220 navi cinesi arrivate presso la barriera corallina Julian Felipe nel Mar delle Filippine occidentali.

Mentre al Brasile miglioni di dosi di vaccino sono state offerte dalla Cina -sia pur non ufficialmente, come riporta il New York Times– in cambio di un’ampia partecipazione di Huawei alla rete 5G, nonostante la forte opposizione del governo di Jair Bolsonaro che aveva bloccato il costosissimo progetto del gigante cinese sul territorio brasiliano in linea con le politiche adottate dalla vecchia amministrazione Trump.

Uiguri in cambio di vaccini. È quanto è successo in Turchia dove i membri dell’opposizione accusano Erdogan di “aver venduto” segretamente gli uiguri che abitano la penisola anatolica (circa 50.000) alla Cina in cambio di vaccini contro il coronavirus. Decine di milioni di fiale di vaccini cinesi promesse alla Turchia sono infatti arrivate in ritardo dal momento che Pechino avrebbe pressato Ankara affinché ratificasse il trattato di estradizione Turchia-Cina. A febbraio degli avvocati turchi avevano rivelato alla stampa internazionale che negli ultimi mesi la polizia aveva arrestato e trasferito una cinquantina di uiguri con l’accusa di terrorismo. Abdürreşit Celil Karluk, sociologo uiguro dell’università Haci Bayram Veli di Ankara, intervistato da AsiaNews dichiarò: “Abbiamo notizie di uiguri deportati attraverso Paesi terzi dalla Turchia in Cina”. Dove saranno destinati alla reclusione nei laogai, i campi di lavoro del regime comunista cinese.

Ma i vaccini non servivano a salvare vite?

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