I due mondi di Vakhim, a 4 anni dalla Cambogia all’Italia

In ogni occasione “nella quale ‘Vakhim’ ha incontrato il pubblico, si è sempre creato un
grande impatto emotivo, una reale partecipazione, ci sono stati
anche molti genitori adottivi che mi hanno cercato e raccontato
la loro storia. Sono le cose più belle che ci sta restituendo
questo documentario”. Lo dice all’ANSA la sceneggiatrice e
cineasta Francesca Pirani parlando del film non fiction
sull’adozione internazionale fatta insieme al marito Simone, di Vakhim, arrivato in Italia nel 2008 a quattro anni e
raccontato nel film fino all’oggi. Il documentario in sala da 6
maggio aveva debuttato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia
nelle Giornate degli autori ed è stato in altri festival
internazionali, conquistando fra gli altri, i premi del
pubblico Al Salina Doc Festival e al Rome International
Documentary Festival e la menzione speciale al Festival del
Cinema Africano, d’Asia e America Latina. Il film non fiction di Pirani (in passato anche
collaboratrice di Marco Bellocchio, che ha molto amato il
documentario, come anche uno dei maestri del cinema cambogiano
Rithy Panh) è stato realizzato e distribuito in maniera
indipendente con Land Comunicazioni (dopo precedenti
disavventure produttive). Al centro del racconto c’è il percorso
in Italia di Vakhim, bambino solare e pieno di vita, che supera
in poco tempo l’ostacolo di parlare solo khmer, e stringe da
subito un forte rapporto con la nuova famiglia ambientandosi
presto anche nel nuovo Paese. Una crescita serena dovuta anche
al costante impegno dei genitori nel non far perdere a Vakhim il
legame con le proprie origini, prima ritrovando la sorella
Maklin e gli altri due fratellini, pure loro adottati in Italia,
e poi sostenendolo e accompagnandolo, quando il figlio è pronto
per farlo, 15 anni dopo, a rincontrare, con Maklin, in Cambogia,
la sua madre naturale.
    Secondo la regista il film, che Vakhim ha fortemente voluto
per far conoscere la sua storia “non è solo per chi ha adottato
un bambino, perché ha più livelli di racconto. Mi sembra che
allarghi il discorso non solo alla maternità ma anche a cosa
avvenga a un essere umano costretto a abbandonare tutto il
proprio mondo”.
   

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