“I AM HERE”: storia di una sopravvissuta all’Olocausto, Ella Blumenthal

Il mondo oggi si ferma e ricorda la più grande tragedia umana della storia: l’Olocausto. La memoria dovrebbe evitare di ricadere negli stessi errori ma nessun messaggio potrà mai raggiungere la forza dirompente della testimonianza diretta di una sopravvissuta. Ella Blumenthal, oggi ha 101 anni ed è finita al centro di un documentario che la piattaforma on demand, Nexo+, presenta in anteprima: “I AM HERE”.

Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, sancendo la fine dell’Olocausto, lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale. È questo il motivo per cui quel giorno preciso sul calendario è diventato “Il Giorno della memoria”, stabilito per lo Stato italiano con la legge 211/2000, data divenuta, successivamente ricorrenza internazionale con la risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005.

I AM HERE del regista sudafricano Jordy Sank è un film composito e prezioso sull’amore per la vita e un omaggio alla forza eccezionale di Ella Blumenthal. Un docufilm che parla alle nuove generazioni anche attraverso uno dei loro linguaggi preferiti: l’animazione.

Jordy è cresciuto al fianco di Ella. Oggi lei ha 101 anni e lui 30. Per noi ha ascoltato la sua storia straziante di perseveranza, resilienza e forza. Raccontarla è per lui un sogno che lo accompagna da più di 15 anni.

Jordy, perché “ancora” un film sull’Olocausto?

Per condividere l’importante lezione di vita di Ella. Perchè tutti coloro che lo guardano possano imparare a vivere una vita significativa nonostante i traumi subiti e le sfide alle quali spesso la vita ti mette di fronte. Se Ella riesce ad avere uno spirito indomabile, dopo tutto quello che ha passato, allora sicuramente possiamo farlo anche noi. Conoscere l’Olocausto a scuola è stato come studiare un capitolo qualsiasi del libro di storia. Vorrei portare lo spettatore ad entrare in empatia e a connettersi con Ella. Sono le ultime occasioni per i giovani di oggi di poter incontrare un sopravvissuto, nessun tentativo di arrivare a loro deve rimanere intentato.

Il film arriva in Italia dopo un consenso unanime nel resto del mondo e svariati riconoscimenti internazionali. Vince la storia? Vince Ella? Vincono le nuove generazioni che non dimenticano?

È bello che I Am Here abbia trovato una simile accoglienza anche in Italia. Credo che vinca la voglia di mantenere viva la memoria di ciò che accadde durante l’Olocausto, affinché la storia non si ripeta.

Perché quel titolo?

Il titolo viene da una frase in ebreo che Ella dice continuamente quando cerca di radunare tutta la sua forza. “Baruch Hashem Ani Poh”, che tradotto è “Grazie a Dio, sono qui”. Pensammo fosse estremamente toccante, visto che è una delle poche sopravvissute all’Olocausto ad essere ancora viva.

Quando ha capito che Elle poteva essere la narratrice perfetta per la sua storia? È arrivata prima lei o la voglia di affrontare un tema così attuale, visto quanta Xenofobia, antisemitismo, razzismo ed esclusione sono onnipresenti nelle nostre vite?

Ho avuto il privilegio di crescere nella stessa comunità di Ella. Non dimenticherò mai la notte in cui l’ho incontrata per la prima volta. Avrò avuto 14 anni, un venerdì sera eravamo a cena insieme e lei si è alzata e ha iniziato a raccontare strazianti ricordi di sopravvivenza durante l’Olocausto. Nessuno riuscì a trattenere le lacrime. Poi accadde qualcosa di straordinario. Era come se qualcuno avesse premuto un interruttore, Ella iniziò a ballare, a ridere. Ero scioccato. La guardai a lungo, e non capii come facesse quella donna, sopravvissuta alle peggiori atrocità che l’uomo abbia mai commesso, a vivere la vita con quell’entusiasmo, riuscendo ad illuminare le nostre vite. È diventata una missione per me. Volevo conquistare la sua fiducia, volevo che fosse una di quelle amicizie che ti rendono una persona migliore, volevo diventare una persona migliore attraverso la sua visione della vita. In fondo alla mia mente ho sempre saputo che la sua storia doveva essere raccontata.

48632 è il suo numero. Quello che Ella porta impresso sulla pelle e che il passare del tempo ha quasi cancellato del tutto. Qual è stato il momento più emozionante durante le riprese?

È stato un privilegio poter essere una mosca bianca sul muro a guardare la famiglia di Ella festeggiare il suo 98° compleanno, è intorno a quello che ruota il film. Ci sono stati molti momenti emozionanti e a volte eravamo profondamente colpiti ed è stata Ella a sostenere tutti noi.

Durante le riprese abbiamo toccato con mano la forza di Ella, della sua mente, del suo corpo e della sua anima. Una delle scene ritrae Ella nuotare in una piscina, eravamo un po’ nervosi, avevamo pur sempre a che fare con una donna di 98 anni. Le abbiamo detto di prendersela comoda, di fare una vasca, al massimo due. Ricordo come mi guardò: avevo ancora una volta sottovalutato il suo spirito! Nuotò per dieci vasche, con l’intera troupe in affanno a starle dietro e una telecamera che è quasi caduta in acqua.

Quando ha deciso che il suo documentario sarebbe stato anche un po’ film di animazione?

Abbiamo deciso di utilizzare l’animazione 2D per rappresentare visualmente i ricordi inimmaginabili di Ella. L’animazione fa ciò che le riprese non possono fare: dipinge un’immagine chiara per il pubblico di momenti che solo Ella può vedere e permette di comprendere e immaginare l’Olocausto. La personalità giocosa di Ella la rende una nonna alla quale ci possiamo relazionare e ispirare.

La paura. Come si racconta?

Oggi assistiamo ad un incremento tremendo di estremismi, antisemitismo e odio. I primi minuti del film mostrano l’ascesa su scala globale di questi fenomeni. La paura di Ella e anche la nostra è che certe atrocità possano ripetersi, che il mondo si dimostri incapace di imparare dal suo passato. L’animazione serve a camminare acconto a Ella nei suoi strazianti racconti che attraversano tre campi di concentramento. Restano gli incubi di Ella e le urla in piena notte, resta la paura che i nazisti le possano rubare i figli. Certe paure per raccontarle devi affrontarle a viso aperto. Permettere al pubblico di vedere una parte del suo mondo è una catalisi perfetta per iniziare una conversazione e portare alla comprensione.

Cosa è per lei la paura? Cosa è la paura per Ella?

Condividiamo la stessa paura… che ciò che è accaduto venga dimenticato, soprattutto quando l’ultima generazione di sopravvissuti all’Olocausto non sarà più con noi. Ella crede che dobbiamo trovare modi nuovi per unire le persone in modo che possano amarsi e capirsi.

Cosa risponderebbe ad un negazionista della Shoah?

Questa è una domanda difficile a cui rispondere. Penso che chiunque neghi l’Olocausto lo faccia con un programma preciso in testa, piuttosto che semplicemente credendo che sia un dato di fatto. Come regista potrei non essere la persona più attrezzata per parlare con un negazionista. Uno storico con tutti i dati e i fatti potrebbe confutare le sue affermazioni. Spero che questo film possa aiutare la gente a capire cosa ha passato Ella. Il trauma di ciò che ha vissuto sopravvive, ma è riuscita a trovare un modo per vedere il meglio nella vita. Sfortunatamente diventerà più facile per le persone negare l’Olocausto una volta che i sopravvissuti non saranno più con noi.

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