sabato, 21 Giugno 2025
Gaza com’era, un western tra passato e presente

(di Giorgio Gosetti) Il titolo richiama Sergio Leone e
Quentin Tarantino; lo stile riecheggia con un pizzico di
sfrontata ironia lo spaghetti western; personaggi e panorami
rimandano alla crudele realtà di questi giorni. “C’era una volta
Gaza”, diretto dai due fratelli palestinesi Arab e Tarzan Nasser
e presentato oggi a Un Certain Regard, è un film felicemente
spiazzante, tutto il contrario di ciò che ci potremmo attendere
dai diari di chi è cresciuto e vissuto sulla Striscia di Gaza.
La proiezione odierna ha infiammato la Croisette, confermando la
realtà e la vitalità di una cinematografia che, pur tra mille
difficoltà, non rinuncia ad esprimere uno stile e
un’incrollabile voglia di resistere e vivere.
La storia strizza l’occhio – a suo modo – a “Il Buono, il
Brutto, il Cattivo”: nella Striscia del 2007 si arrabattano un
ragazzo pieno di sogni ma con lo sguardo segnato da
un’invincibile malinconia e il suo dinamico e carismatico
compagno d’avventura, un leader nato. È il secondo, Osama, che
lo coinvolge in un piccolo traffico di stupefacenti usando per
copertura la vendita dei falafel. Il giovane, gracile studente
Yahya accetta, pur tra mille preoccupazioni e alla fine pensa
che è anche questo un modo per sopravvivere, finché non si mette
di mezzo un poliziotto corrotto che vuole la sua parte nella
vicenda.
“Oggi quel titolo che nacque quasi per scherzo – dicono Arab
e Tarzan, due omaccioni sorridenti e dalla simpatia contagiosa –
suona drammaticamente attuale perché la Gaza che abbiamo
conosciuto e in cui siamo cresciuti non esiste letteralmente
più. Ma il progetto, com’è nostro costume, si è sviluppato nel
tempo, abbiamo cominciato a scriverlo e idearlo già nel 2015,
due anni dopo il debutto a Cannes con il cortometraggio “Comdom
Lead”. “Il soggetto del film – spiegano – nasce dall’ispirazione
costante che genera la nostra città. È la natura umana che fa sì
che laggiù, nonostante l’occupazione, lo stato d’assedio e le
condizioni inumane che le persone sono costrette a sopportare da
decenni, sia l’umanità a prevalere sempre e a dare senso alla
vita. Noi due ogni volta cerchiamo di fare solo del buon cinema.
Ma a Gaza e in generale in Palestina è davvero difficile
sfuggire alla politica perché è questa a controllare tutto, la
vita quotidiana della gente è condizionata da tutto questo.
Eppure all’inizio noi due volevamo solo fare un western alla
nostra maniera”.
Nati nel 1988, approdati dietro alla cinepresa quasi per
caso, senza nessuna scuola ma con una grande passione per la
moda e l’arte (“costruiamo da noi buona parte di ciò che si vede
sullo schermo – dicono – ci ingegniamo a rendere bello ciò che
si vede sullo schermo”), i fratelli Nasser confessano che dopo
il massacro del 7 ottobre e tutto ciò che ne è seguito per
cinque mesi non sono più riusciti a pensare al film, restando in
contatto con la loro gente grazie al telefono o ai radi filmati
delle troupe televisive. Poi si sono decisi: “Va bene – ci diamo
detti – dobbiamo andare avanti, rivedere la sceneggiatura e
finire il film perché la morale del racconto è che la storia si
ripete e che la gente di Gaza, nonostante non abbia scelta,
orizzonti, sogni, non si arrende comunque. Vuole andare avanti e
questa diventa inevitabilmente la morale politica del nostro
lavoro: una storia di sopravvivenza”.
Dopo il debutto, Arab e Tarzan Nasser sono diventati dei
beniamini dei festival internazionali, passando al
lungometraggio nel 2015 con “Degradé” (visto a Cannes) e poi con “Gaza mon Amour” selezionato a Venezia nel 2020. Il loro metodo
di lavoro – grande cura dei dettagli, centinaia di film visti
per formare il gusto, spirito d’impresa e di colleganza per far
fronte alle difficoltà finanziarie che oggi comporta fare cinema
in Palestina – obbliga a lunghe attese tra un film e l’altro, ma
la prossima idea è già in cantiere: la storia di tre donne,
ancora una volta ambientata nella loro città, per raccontare
attraverso l’incrocio di tre vite quel desiderio di riscatto e
di vita che nella tragicommedia “C’era una volta a Gaza”
trabocca da ogni inquadratura.
Per domani è prevista una grande festa in loro onore, con
accompagnamento musicale a sorpresa, nel Padiglione palestinese
del Marché du Film dove campeggia, come emblema di una
cinematografia e di una comunità, un enorme papavero rosso,
simbolo di speranza, di allegria, di vita.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA