Dune, la storia non raccontata dal film

Il film, ora al cinema, è spettacolare. Eppure dalla rilettura della saga letteraria che lo ha ispirato si comprende un messaggio che va oltre lo show. Ne emerge il profondo ecologismo, ma anche la previsione delle storture cui esso – e lo sperimentiamo oggi – ha portato.


Sul fatto che Frank Herbert fosse un ecologista ci sono pochi dubbi. Molto spesso gli articoli che ne ricostruiscono la biografia riportano una sua frase che sembra appunto tratta da un manifesto dei movimenti green o da saggi come Gaia di James Lovelock, che descrive il nostro pianeta come un unico grande organismo. «Fate uno sforzo d’immaginazione, fino a considerare la Terra come una creatura vivente: non vi occorrerà molto per pensare all’umanità come a una malattia del nostro pianeta. Su una buona parte della Terra, la presenza dell’uomo contrasta con quella di un sano ecosistema, capace di mantenersi indefinitamente». Ecco, queste parole riassumono la visione politica e antropologica dell’ecologismo contemporaneo, che tende a considerare l’essere umano come un cancro, una malattia.

Nel pensiero e nell’opera di Herbert, tuttavia, c’è molto di più. Fin dall’uscita del primo volume della saga di Dune, nel 1965, lo scrittore americano è divenuto una sorta di guru o comunque un ispiratore del movimentismo verde. Ma dai suoi libri – e pure dai film che ne ha tratto Denis Villeneuve (il secondo è uscito da poco) – emergono le non poche ombre che possono avvolgere quello stesso movimentismo. Herbert appare convinto della necessità di modificare lo stile di vita occidentale, adeguandolo ai ritmi naturali, ma dimostra di aver capito molto bene quali siano i pericoli che corrono gli attivisti quando a prevalere sono catastrofismo e messianismo. A ben vedere, entrambe queste dimensioni sono molto presenti fra gli odierni attivisti green. Da un lato essi predicono la prossima fine dell’umanità. Dall’altro propongono una sorta di religione che promette di regalarci la salvezza dalla catastrofe imminente. E questi sono esattamente i temi che vengono esplorati in Dune, come dimostra un bel libro di Paolo Riberi e Giancarlo Genta intitolato I segreti di Dune. Storia, mistica e tecnologia nelle avventure di Paul Atreides (Mimesis).

«L’elemento ecologico è indubbiamente una parte integrante della saga di Dune, tanto nel romanzo quanto al cinema» spiega a Panorama Riberi. «Il pianeta Arrakis è un mondo rovente e inospitale, e le popolazioni che vi abitano, i Fremen, sognano di rendere fertile il deserto contenendo ogni spreco d’acqua, un po’ come si è a lungo sognato di fare con il Sahara, e come effettivamente si è fatto in certe zone di Israele. Secoli prima, su Arrakis aveva preso il via un importante progetto di risanamento ecologico, ma la scoperta di una preziosa materia prima – la Spezia (alter ego del petrolio) – ha fatto cessare ogni ricerca in tal senso. Sul pianeta è così giunto un casato di invasori stranieri, gli Harkonnen, che già ha trasformato il proprio mondo natale Giedi Primo in una enorme desolazione industriale. Sul fronte opposto, il benevolo casato Atreides proviene da un pianeta verdeggiante e ricco d’acqua, Caladan, di cui ha avuto cura per millenni. Insomma, il tema dell’ambiente permea l’intera saga. Sembra tutto molto chiaro, finché all’improvviso, lo scenario muta radicalmente con alcuni inattesi colpi di scena: il bene e il male si scambiano di posto, e la grande utopia dei Fremen si trasforma in una minaccia di scala galattica, causando una catastrofe inaudita».

Ecco dunque che il lato oscuro dell’utopia inizia a emergere. L’attesa di un illuminato che guidi l’umanità verso la redenzione può rivelarsi un incubo senza precedenti. «In Dune» continua il saggista, «l’intero universo vive nell’attesa di un Messia, senza che però esista un accordo sulla fisionomia del prescelto. L’ordine delle Bene Gesserit attende il Kwisatz Haderach, l’uomo perfetto: un bizzarro ibrido tra il superuomo di Nietzsche e l’Adamas primordiale di cui parlano i vangeli gnostici e la Qabbalah medievale. Una sorta di supereroe, ammantato di mistica sacerdotale. I Fremen attendono invece il Lisan al Gaib, un leader politico che li guidi alla vittoria nella loro guerra contro l’oppressore. Al tempo stesso, però, la loro è anche un’attesa apocalittica: il Messia dei Fremen – anche nel film di Denis Villeneuve – prende il nome di Mahdi, che nel mondo islamico è l’araldo della fine del mondo. Spiritualità e volontà di potenza, politica e apocalisse: dietro il Messia di Dune c’è un po’ di tutto. Proprio come del resto accade in tanti movimenti di ieri e di oggi».

La grandezza dell’opera di Herbert sta proprio nel rifiuto dell’esaltazione messianica. «Non offre risposte o soluzioni pronte per l’uso, ma al contrario pone interrogativi scottanti, mettendo a nudo il volto oscuro di questi movimenti. I temi e i problemi da cui Dune prende le mosse sono quelli dell’ecologismo moderno, su questo non c’è dubbio. Ma al tempo stesso, l’approdo è del tutto antitetico» dice Riberi. «I Fremen iniziano una lotta idealistica per trasformare il loro pianeta in un paradeisos, ossia in un giardino lussureggiante. La loro è una causa pura e nobile. Poi, però, le cose non vanno peril verso giusto e il movimento messianico prende una piega assai più sinistra».

Una deriva che, nel corso della storia e soprattutto in tempi recenti, si è rivelata inevitabile. Già nel primo dei due film di Villeneuve, non a caso, Paul – messia riluttante – riesce a vedere nel futuro e ciò che osserva non è per niente incoraggiante: «Vedo una guerra santa che si diffonde nell’universo come un fuoco inestinguibile (…) Legioni di fanatici in adorazione del teschio di mio padre. Una guerra in mio nome… Tutti gridano il mio nome». Ed eccoci al cuore del messaggio di Herbert. Egli non retrocede mai dalle sue convinzioni, i suoi libri comunicano una utopia che viene però temperata da una sorta di satira politica e da un sano realismo. «Dune è un’opera che nasce da una profonda e genuina sensibilità nei confronti dell’ambiente» aggiunge Riberi. «Ma al tempo stesso è un’opera che ci avverte dei rischi connaturati alla “religione ecologista”, all’integralismo e alla distorsione dei valori. I Fremen non hanno un dio, non hanno una morale: hanno soltanto un leader carismatico. La loro causa è giusta, ma quando inevitabilmente subentrano l’estremismo e il culto della personalità, tutto precipita».

Purtroppo la religione ecologista ai nostri giorni ha preso il sopravvento. In essa si possono rintracciare i tratti di quello che Eric Voegelin, Gershom Scholem e altri studiosi hanno indicato come «gnosticismo politico». Vi si trova, cioè, la pericolosa convinzione che un manipolo di eletti dotati di una scintilla divina possano arrogarsi il compito di educare l’umanità per ricondurla al paradiso terrestre. Un paradiso che, drammaticamente, si rivela spesso un inferno. «Il tema del cosiddetto gnosticismo politico permea l’intera saga, e si intreccia con il messianismo» conclude Paolo Riberi. «Paul Atreides è un prescelto, illuminato – un risvegliato, per usare un termine caro all’ideologia woke di oggi – ed è questa la fonte della sua autorevolezza sulle tribù Fremen, a cui pure non appartiene. Tramite la Spezia, Paul ha il dono di comunicare con l’alam al mithal della mistica sufi: il mondo che sta al di là del velo della realtà. È l’unico ad avere delle visioni del futuro, e questo fa di lui il leader e l’unificatore delle tribù del deserto: nel saggio, affianchiamo la sua figura a quella di Maometto, dell’imam Shamil e di Lawrence d’Arabia. All’atto pratico, ciò significa che tutti guardano a lui come a un maître à penser: un maestro di pensiero, un’autorità che detta una linea. È il volto della causa. Trascinati dalla passione, tutti metteranno da parte ogni pensiero critico per seguire la sua causa: ma su ogni cosa incombe quella tremenda visione del movimento che si trasforma in una setta di fanatici. È quella la vera ombra lunga che da sempre aleggia su questi fenomeni carismatici: spegnere la ragione può essere inebriante, certo, ma molto pericoloso».

Di questo pericolo, a differenza di Frank Herbert, l’ecologismo odierno e i suoi più o meno fanatici adepti non sembrano essere consci. Sono pronti a tutto, anche a danneggiare milioni di persone, pur di «salvare il pianeta». Le loro istanze sono accolte e supportate dal pensiero dominante, e ogni dissenso viene messo da parte se non censurato. La lettura di Dune, per chi sappia affrontarla dimenticando per un attimo la retorica verde, dovrebbe far capire che andando avanti in questo modo non si otterrà nulla di buono.

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