Di Gregorio: «Il video dello stupro chiama in causa il modo di fare informazione»

Partendo dalle ultime vicende che hanno catapultato Giorgia Meloni al centro delle critiche politiche, Panorama.it ha conversato con il politologo che si lancia in un consiglio alla leader di Fratelli d’Italia: «manterrei sempre l’immagine “governativa”, rassicurante e prospettica».

Professore, la vicenda del video dello stupro di Piacenza pubblicato da Giorgia Meloni è detonata…

«Il video è stato ripreso dai siti di quotidiani nazionali, per cui la polemica andrebbe allargata: cosa aggiungono audio e video alla notizia? Ma è una questione aperta, ormai tradizionale nella società dell’immagine. Da tempo, una notizia senza foto e video vale quasi niente, non cattura l’attenzione del lettore. Meloni avrebbe potuto esprimere solidarietà alla vittima e denunciare i problemi di sicurezza senza condividere il video? Certo, tuttavia mi pare che il problema di privacy sia a monte e chiami in causa il modo di fare informazione nella società contemporanea».

Errore politico, caduta di stile, provocazione inopportuna?

«Allora, da un lato quel video e anche un altro sulle devianze hanno fatto sì che Letta e l’intero centrosinistra si siano lanciati su un’agenda dettata dalla Meloni, peraltro secondo me sbagliando le reazioni: Letta risponde al video dello stupro denunciandone la pubblicazione ma dicendo pochino sullo stupro in sé, e al secondo video con un temerario “viva le devianze”, che sembra un inno anarco-libertario. Insomma, se errore c’è stato, non è stato solo da una parte. Più in generale vedo una potenziale contraddizione nella comunicazione sui social di Giorgia Meloni: se dovessi dare un consiglio non richiesto, manterrei l’immagine “governativa”, rassicurante e prospettica, sempre. Suggerirei di parlare la stessa “lingua” su tutti i mezzi di comunicazione, ecco».

Veniamo alle liste. I catapultati aumentano…

«Con questo sistema elettorale che limita tanto la scelta degli elettori e col taglio dei parlamentari che incrementa la necessità di premiare i cosiddetti “fedelissimi” era prevedibile un esito del genere. Vale per tutti i partiti. I candidati, in questo sistema, valgono poco e niente agli occhi dei cittadini. Il voto è dato ai partiti, o alle coalizioni, prevalentemente in virtù del gradimento del leader. Solo gli elettori molto interessati e molto informati di politica vanno a vedere chi sono i candidati nel proprio collegio. Ma questa quota di elettori è davvero minima».

Intanto il voto si avvicina, ma la confusione pare aumentare…

«Di sicuro è aumentata fino alla chiusura dei perimetri delle coalizioni. Oggi c’è qualche elemento di chiarezza in più. Non vedremo più accordi siglati e cestinati il giorno dopo».

Un breve excursus storico: dalla svolta di Fiuggi, passando per Alleanza nazionale, ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi la destra italiana sembra pronta a governare.

«La destra italiana ha già governato, tra il ‘94 e il ‘95, tra il 2001 e il 2005 e tra il 2008 e il 2011. Per la prima volta però ha l’opportunità di occupare la casella più importante, quella di Palazzo Chigi, ed è un’occasione storica. Da Fiuggi sono cambiate tante cose, come è giusto che sia in 27 anni. È una storia complessa, di alti e bassi, di congressi drammatici, di scioglimenti e di rifondazioni. Oggi Giorgia Meloni è presidente dei Conservatori europei e sta provando a costruire il partito conservatore italiano, avendo l’obiettivo di un sistema dei partiti semplificato, come quelli anglosassoni. I conservatori da una parte, i progressisti dall’altra. È una sfida difficile e ambiziosa in un paese pieno di partiti come il nostro, ma è giusto porsi obiettivi sfidanti, di sistema».

Intanto ritorna la storica alleanza con la Lega, che nacque con un errore di fondo: Alleanza Nazionale difendeva l’unità nazionale, la Lega anelava alla “devoluzione”…

«Quella coalizione era apparentemente forzata, quasi contraddittoria. Tuttavia, anche grazie alla capacità “federatrice” di Berlusconi ha tenuto, non nella prima occasione (’94-’95), ma sicuramente in quelle successive. L’accordo di massima era quello di spingere simultaneamente verso un sistema federale e presidenziale. Un tema che ritorna anche oggi, con la proposta di Fratelli d’Italia che guarda al semipresidenzialismo e la Lega che rivendica maggiore autonomia territoriale. In questo senso, forma di Stato e di governo si tengono e possono convivere.»

Veniamo al prossimo 25 settembre: Giorgia Meloni pronta a guidare il nuovo governo…

«Sondaggi alla mano, e stando all’accordo di coalizione, quello sembra l’esito. Giorgia Meloni è pronta? La domanda ricorrente è sulla classe dirigente di Fratelli d’Italia. Ma è una domanda mal posta. Se parliamo di Fratelli d’Italia, parliamo di classe politica. E non credo affatto sia inferiore a quella degli altri partiti. La classe dirigente è un’altra cosa, riguarda alta burocrazia, poteri dello stato, intellettuali, grandi imprese, stampa e sistema mediatico, ecc. Lì c’è da lavorare perché le élite italiane, come in tutto l’Occidente, non tendono propriamente a destra…».

Si sbilanci: FdI viaggia verso il 25%, primo partito nazionale.

«Se la giocherà col Pd, anche se la tendenza attuale sembra premiante. Difficile fare previsioni sulle percentuali perché molto dipenderà da chi saprà portare alle urne la maggior parte dei propri elettori e intercettare una quota del “non voto” in un’elezione estiva, inedita. Comunque c’è un mese di campagna elettorale di mezzo, in cui non possiamo escludere oscillazioni forti, specie considerando che almeno un italiano su quattro ormai decide se votare e per chi votare negli ultimi giorni»

I numeri contano, certo, ma lei sa bene che una leadership non si fonda sul solo dato numerico.

«Certamente. Peraltro il periodo che stiamo per vivere non è certo dei più facili, tra caro-vita, nuove povertà, crisi energetica, senza dimenticare ovviamente la pandemia e lo scenario internazionale instabile. Proprio per questo però direi che Giorgia Meloni si sta muovendo bene, anticipando, già in campagna elettorale, uno stile e una postura più da premier che da capo partito. Sta parlando agli elettori indecisi e agli stakeholders internazionali. È già in modalità governing più che campaigning. E secondo me fa benissimo. Sui social ogni tanto c’è qualche deviazione, come detto prima, e a mio avviso questo va corretto».

Intanto è partito l’attacco nei confronti della leader, come capitava a Berlusconi e poi Salvini. Potrebbe rappresentare un boomerang per il centrosinistra?

«Tradizionalmente non porta bene. Non solo alla sinistra. Direi che in generale l’attacco personale è un’arma pericolosa più per chi la usa che per chi la subisce. Intanto perché mobilita gli elettori propri ma anche gli elettori altrui, e poi può dar vita a un “soccorso” della vittima da parte degli elettori indecisi. Capisco gli attacchi politici, una contesa polarizzata e mobilitante, ma gli attacchi personali, oltre a squalificare l’intera campagna, rischiano di essere controproducenti».

Sarà che gli avversari ancora vedono in Fratelli d’Italia il partito dei fascisti italiani?

«Non mi pare ci credano neanche loro, altrimenti quel pericolo sarebbe sempre sbandierato, invece si affaccia solo in campagna elettorale. Anche il fatto che la coalizione “antifascista” non sia riuscita a tenere dentro né il Movimento 5 Stelle né il “Terzo polo” mi pare un segnale di scarsa credibilità del pericolo “fascista” alle porte. Ritengo, semplicemente, che il nemico comune sia l’argomento più mobilitante e unificante per gli elettori di sinistra, ecco perché ritorna di frequente. Tuttavia, sondaggi alla mano, non mi pare sia in grado di ribaltare gli esiti. Le elezioni si vincono con una scommessa sul futuro, non evocando fantasmi del passato».

Professore ci lasci con un pronostico…

«Meglio di no, scripta manent. E poi sarebbe più da indovino che da politologo. Facciamo che ci sentiamo il 26 settembre per fare un’analisi del voto, mi pare più adeguato».

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Luigi Di Gregorio, romano di nascita, classe 1975, politologo, è docente di comunicazione politica all’Università della Tuscia di Viterbo e al Master di comunicazione e marketing politico e istituzionale della Luiss di Roma, dove ha iniziato la sua carriera accademica. Esperto di marketing politico e di strategie elettorali (è membro dell’editorial board del Journal of Political Marketing), ha fatto parte di diverse war room di centrodestra fin dal 2006, ed è stato capo della comunicazione istituzionale del Comune di Roma negli anni della giunta Alemanno. È anche direttore scientifico della Fondazione Farefuturo, fondata da Gianfranco Fini e oggi presieduta da Adolfo Urso.

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