Cinema, arriva il controverso film Rosalie

Apprezzato al Festival di Cannes, racconta la storia vera di una ragazza (all’apparenza bellissima) affetta da un celato irsutismo, nella Francia di fine Ottocento. Il risultato è «un racconto che fa riflettere sull’accettazione del proprio corpo e dei difetti del partner» dice a Panorama la regista Stephanie Di Giusto.


Tra gli umani deformi e bizzarri del circo itinerante di Freaks, film di Todd Browning del 1932 considerato un capolavoro, ma capace di scioccare generazioni di spettatori e addirittura bandito in Regno Unito per trent’anni, figurava la dama barbuta. La donna era probabilmente ispirata ad Annie Jones, che lavorava nel Circo Barnum perché considerata, al pari dei suoi colleghi, un fenomeno da baraccone. Dall’altra parte dell’Atlantico però la coeva Clémentine Delait, la più celebre donna barbuta di Francia, affetta come lei dall’irsutismo che faceva crescere peli abbondanti sul volto e il resto del corpo, invece fu capace di distinguersi come esempio ante litteram di emancipazione e affermazione della «body positivity».

Anziché lasciarsi sfruttare, dopo aver sposato un fornaio che aveva un bar, usò la propria barba per attirare clienti nel locale, e addirittura iniziò a vendere le proprie foto in tutta Europa diventando una vera e propria celebrità. «Quando ho letto la sua storia e visto il suo volto femminile coperto da una folta barba in quegli scatti (che si trovano facilmente sul web, ndr) mi ha affascinato l’idea di esplorare il mistero di quella vita» spiega Stephanie Di Giusto, regista del bel film Rosalie, presentato al festival di Cannes e nei cinema dal 30 maggio. «Ma anziché realizzare una biografia ho deciso di reinventare un po’ la sua storia. Sapevo che si era rifiutata di diventare un banale fenomeno da fiera e aveva invece cercato di vivere la propria vita, anzitutto affermandosi come donna. Un caso isolato perché, avendo studiato l’argomento, mi sono resa conto che le altre donne simili a lei a quell’epoca erano in qualche modo bandite e costrette a lavorare nei circhi per sopravvivere».

Il film si svolge nella Francia rurale del 1870. Abel (Benoît Magimel), un ex soldato di mezza età che ha contratto un cospicuo debito con Barcelin (Benjamin Biolay), proprietario della fabbrica in cui lavorano quasi tutti gli abitanti del villaggio, accetta di sposare la giovane Rosalie (Nadia Tereszkiewicz) che non ha mai visto prima, attratto dalla ricca dote promessagli dal padre di lei Paul (Gustave Kervern).

Lusingato dal fatto che la donna sia molto bella e disposta a lavorare nel suo caffè, che è in crisi e non riesce ad attirare clienti, Abel pensa di aver fatto un buon affare, salvo scoprire nella prima notte di nozze il segreto della ragazza, che è in grado di radersi il volto ma non tutto il corpo. Disgustato l’uomo l’allontana, ma la donna anziché lasciarsi andare allo sconforto decide di utilizzare il suo difetto fisico per attrarre più clienti nel locale.

«Per me Rosalie è un film su una giovane donna che trova la libertà abbracciando la sua barba», dice la regista. «La mia è una storia che riguarda il desiderio e l’amore. Perché lei non vuole la pietà degli altri, ma trovare l’amore incondizionato».

Naturalmente il primo ostacolo da superare è il marito che rimane a dir poco sconcertato dalla sorpresa riservatagli: «Abel non è più capace di amare: la guerra gli ha lasciato troppe ferite. Ma Rosalie lo metterà alla prova, perché desidera che lui la ami così com’è. A poco a poco, i sentimenti iniziano a sbocciare da un desiderio che sfugge loro. In fondo la peluria è vista come qualcosa di primitivo, legato all’intimità, a ciò che è nascosto e richiama la carica sessuale, all’animale domato che è dentro ognuno di noi, e io nel film volevo che questo aspetto emergesse, intendevo filmare un nuovo erotismo sospeso tra delicatezza e animalità».

Oltre a trovare il luogo adatto per ricreare un villaggio di fine Ottocento («Una vecchia fucina nel centro della Bretagna, un intero villaggio abbandonato e ben mantenuto dai suoi proprietari dalla fine del XIX secolo, senza il quale non avrei potuto girare il film» dice Di Giusto), c’era bisogno di due attori che incarnassero in maniera credibile Abel e Rosalie.

Benoît Magimel, uno degli interpreti più amati di Francia, apprezzatissimo di recente ne Il gusto delle cose e Pacifiction, ha aggiunto un livello extra di credibilità con l’escamotage di non incontrare mai prima delle riprese la sua collega Nadia Tereszkiewicz (Mon Crime, emergentissima giovane attrice): «Benoît mi ha fatto sentire rifiutata per buona parte delle riprese, in linea con il suo personaggio. Questo mi ha fatto provare vero terrore quando dovevamo girare la scena della prima notte di nozze e avvicinato ancor più a Rosalie perché ho capito come dovesse sentirsi in una situazione simile» dice lei.

«Quando ho letto la premessa del film» dice Magimel «mi sono chiesto cosa potesse venir fuori da una vicenda tanto inusuale. Abel che è traumatizzato dalla guerra, si trova spiazzato quando vede questa bella e giovane ragazza e si chiede se lei sarà in grado di amarlo, ma poi quando scopre l’inganno gli sembra di vedere il diavolo».

Naturalmente bisognava rendere credibile la trasformazione di una donna dalla bellezza sfolgorante come Tereszkiewicz in un soggetto che genera un certo grado di repulsione, ma è anche sensuale: «Ci sono voluti tre mesi per trovare il look di Rosalie: la barba, i capelli, la pettinatura e gli abiti, insieme a Stéphanie, alla costumista Madeline Fontaine e le truccatrici e parrucchiere Aude Thomas e Mélanie Gerbeaux», racconta l’attrice.

Una volta individuato come doveva essere preparata per andare in scena, Tereszkiewicz si è sottoposta ogni giorno a sedute estenuanti per consentire la trasformazione: «Occorrevano circa cinque ore, tre +soltanto per l’acconciatura e per la barba, che veniva creata aggiungendo al parrucchino un pelo per volta, più una per il trucco e quaranta minuti circa per indossare il corsetto: un rituale lungo e noioso che però mi aiutava a entrare gradualmente nel personaggio e a percepirne il coraggio di vivere in quel contesto familiare e sociale così difficile per lei». n

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